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domenica 13 aprile 2014

Raccontarsi per gioco, giocare per raccontarsi

Facciamo un gioco, un gioco in cui non si vince e non si perde, ma si esce più uniti, più consapevoli, più integrati.

Questo gioco ha a che fare con i dilemmi fondamentali del vivere, molto più che con i principi e i precetti morali.

Laddove i principi ti dicono che cosa dovresti fare e che cosa dovresti evitare, i dilemmi ti fanno dubitare che ci sia una risposta univoca sempre e comunque, e ogni volta ti fanno chiedere sarà il caso di accettare questa cosa o devo affermare me stesso?

Combattere o lasciar correre?

Aver fiducia o dubitare?

Pugno di ferro o guanto di velluto?

Fede o ragione?

Sono tutte incarnazioni del dilemma fondamentale, che ha due vie giuste e due errate.

Le due vie giuste consistono nell'accettare le cose che non si possono cambiare e nel provare a cambiare quelle che si potrebbero cambiare.

Le vie sbagliate sono l'inverso: provare a cambiare quando non si può e accettare passivamente ciò che invece non dovrebbe essere accettato.

Se io ti chiedessi raccontami un momento della tua vita in cui hai lottato per qualcosa e hai provato soddisfazione nel farlo?

Oppure, raccontami un momento della tua vita in cui hai lottato per qualcosa per poi rammaricartene?

Che tipo di storie pensi verrebbero fuori dai tuoi racconti?


Questo è il gioco che ti propongo: trasformarsi per qualche minuto in autobiografi per andare a scovare i nodi lasciati attorno ai dilemmi della vita nei quali ci siamo imbattuti.

Tutti noi abbiamo vissuto storie di questo genere, attraversate da fili comuni, perché al fondo di esse i dilemmi non cambiano, sebbene assumano vesti esteriori differenti.

Dimmi di quando...

  • hai lasciato qualcosa/qualcuno e ne sei stato contento/te ne sei rammaricato
  • hai detto ciò che pensavi e ne hai tratto soddisfazione/te ne sei pentito
  • hai rimandato qualcosa e ne sei rimasto soddisfatto/sei rimasto scontento
  • hai dato qualcosa e ti sei sentito gratificato/hai capito che sarebbe stato meglio non farlo
In questo gioco non solo permetti a chi ti ascolta di conoscerti meglio, ma in realtà scopri ancor di più chi sei, da dove vieni, che cosa provi, ripercorrendo il modo in cui hai affrontato questi dilemmi.

Il gioco, come tutti i giochi veri, non è affatto giocoso, ma è molto serio.

Perché ti mette in salvo dal pericolo dei principi morali ciechi, da quelle regole che prescrivono di essere sempre accomodanti, di accettare sempre, o al contrario di protestare e non farsi mai mettere i piedi in testa, regole che spesso sono solo razionalizzazioni a posteriori delle nostre scelte, e che poi tentiamo di riutilizzare per ottimizzare il processo di scelta futura.

Questo tipo di regole servono solo a darci l'illusione di una fermezza mentale e morale di fronte a momenti della vita che sono vere e proprie scommesse, in cui si punta tutto sull'accettare o meno quello che ci accade.

Nessuno dovrebbe né potrebbe accettare o opporsi sempre e comunque.

Ogni tanto combattiamo e sentiamo che le situazioni possono richiedere o meno la nostra reazione.

In molti altri casi, siamo come vaccinati ed evitiamo giustamente di lottare pur provando fastidio, come quando qualcuno ci rimprovera di non essere stati carini o di non avergli fatto quel favore, come se ci fosse una regola a imporcelo, ma in quel caso evitiamo di protestare e accettiamo con bonarietà il piccolo sfogo dell'interlocutore.

Quando si fa questo gioco bisogna stare attenti alla genericità: chiedere a qualcuno di raccontare un momento in cui ha condiviso qualcosa potrebbe essere troppo vago, perciò è meglio entrare nello specifico e fare esempi concreti come quando sei uscito per la prima volta con quella persona, quando hai baciato qualcuno e così via.

Un grosso pregio di questo gioco è allargare la definizione che diamo di noi stessi, nonché quella che altri danno di noi.

In genere si pensa che le persone si incontrino e si accoppino perché il partner corrisponde a quei tratti della persona che si sono formati da particolari esperienze di vita, soprattutto dell'infanzia.

Da qui poi si passa a generalizzazioni molto spicciole, che vorrebbero il maschio e la femmina cercare nel partner una sorta di ombra del proprio genitore di sesso opposto.

Facendo questo gioco si scopre che in realtà le esperienze significative, e quindi i tratti personali, sono molto più numerosi di quei pochi che ci riportano ai nostri genitori.

Emergono, anzi, riemergono tutte le possibili strade che avremmo potuto prendere e che parti di noi nascoste in realtà non hanno mai abbandonato.

Bisogna adattarsi ai principi dei propri genitori o affermare la propria indipendenza?

Bisognerebbe andare d'accordo o contro i propri fratelli?

Bisognerebbe sempre dire la propria o parlare solo se interpellati?

Tanta gente investe tempo e denaro in terapie nelle quali rielabora, rilegge e riscrive la storia della sua unica, eccezionale e terribilmente tragica infanzia e di come ha fatto a diventare mostruosa così com'è, e anch'io l'ho fatto.

Sono contento di averlo fatto, e sono ancora più contento di essere andato oltre.

Sì, forse la mia infanzia non è stata fantastica.

Sì, ho incontrato spesso dilemmi simili e ho dovuto scegliere se andare di qua o di là.

Un po' come tutti.

Il setting terapeutico spesso è solo il contesto adatto a ripercorrere la storia di quando abbiamo accettato e di quando abbiamo provato ad affermarci.

Ma poiché tutti ci siamo trovati davanti a questi crocevia, con questo gioco possiamo rivisitarli, riesaminare le scommesse che la vita ci ha lanciato, rivedere le nostre puntate e i risultati, quelli belli e piacevoli, e quelli brutti e sgradevoli.

Pronti a giocare?

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