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venerdì 26 aprile 2013

Ah, felicità...


 ...su quale treno della notte viaggerai...

Così recitava cantando Lucio Dalla, facendo riecheggiare una domanda ultramilleniaria che non ha alcuna intenzione di diventare obsoleta.

Per chi lavora nel mondo delle compravendite, la felicità sta nei prodotti, quelli del supermercato che risultano deliziosi al gusto, o quelli finanziari che promettono di riempire il tuo conto in banca, o ancora quelli estetici che ti assicurano di trasformarti in una super top model.

Le norme sociali garantiscono che la felicità è nello status, nei risultati, nelle relazioni, nelle proprietà.

Ma anche noi non scherziamo, a metterci del nostro e cerchiamo sempre la prossima cosa che ci renderà felici.

Hai il compagno ideale?

Allora ci vuole la casa ideale.

L'hai trovata?

Cerca subito quella più grande, e poi l'auto nuova, la promozione, l'investimento per smettere del tutto di lavorare.

La terra promessa della felicità non smette di allettarci e nessuno si chiede se sia reale o solo un miraggio.

L'idea grossolana che una grossa vincita o un grave incidente portino di necessità a una grande felicità o alla disperazione non sta in piedi, se andiamo a osservare da vicino la vita di molti di quelli che la lotteria l'hanno vinta davvero o le gambe le hanno perse sul serio.

La felicità non sembra stare a suo agio nei beni, nelle relazioni o nei risultati, quanto piuttosto nel dare.

Un dare che non è fatto solo di oggetti materiali, ma che si declina in altre forme di donazione: tempo, amore, noi stessi.

Non possiamo essere felici con un atto di volontà, poiché la felicità è un sentimento risultante da un processo di vita.

Possiamo però essere altruisti e compassionevoli, per scoprire tutti gli enormi vantaggi del mettere il naso al di fuori dei nostri piccoli egocentrismi.

Quali sono dunque i vantaggi di un atteggiamento compassionevole?

domenica 21 aprile 2013

Autismo: cura o rispetto?


 Quali prospettive possiamo offrire per chi riceve una diagnosi di disturbi dello spettro autistico e per il loro familiari?

Anche se ci piace giocare con le parole, e da handicap siamo passati per disabilità fino ad arrivare al diversamente abile, di fatto non è cambiato granché, anche se proprio gli autistici sono gli unici a rientrare perfettamente in quest'ultima definizione.

Poiché l'autismo, più di ogni altra manifestazione considerata patologica, sfugge al meccanismo classico della medicina, ossia trovare le cause per intervenire sugli effetti, la società rivela tutta la sua inadeguatezza rispetto al fenomeno.

Molti programmi per l'autismo oggi contengono un non detto deleterio: cerchiamo di cambiare la sua condizione e di renderlo sempre più somigliante a una persona con funzionamento tipico, e già questa perifrasi la dice lunga.