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lunedì 30 agosto 2010

Maestri bambini

Siamo a un passo dal ritorno totale alla routine quotidiana, il lavoro che ci sommerge, le incombenze di tutti i giorni a sovrastarci, le preoccupazioni, il domani eccetera...

Quale momento migliore per riflettere su come non cascare nella trappola del superimpegno e dello stress?

Se parti con il piede giusto, dopo il rientro dalla pausa estiva, hai più chances di iniziare un'annata virtuosa.

Il primo vero problema è che, da adulti, siamo diventati troppo seri, a scapito della gioia e delle altre meravigliose esperienze che la vita può offrirci.

Ci dimentichiamo di sorridere, di goderci la bellezza del presente, inseguiamo un obiettivo dietro l'altro confondendo la nostra capacità di provare soddisfazione per i risultati.

Eppure, siamo stati bambini capaci di stupore, gioia, senso del presente, e quelle capacità non le abbiamo mai perse, sono solo sepolte in noi.

Come possiamo riportarle in superfice?

martedì 17 agosto 2010

Piccoli ominidi crescono

Nel post precedente, La rabbia del cavernicolo, ho descritto il meccanismo primitivo alla base dei nostri risentimenti.

Vediamo ora se possiamo evolverci da cavernicoli a esseri sociali, come Aristotele predicava.

Non credo tu debba rifiutare i sentimenti negativi, quando si presentano.

Ma puoi di certo usare metodi responsabili nel trattare queste spiacevoli emozioni, per non rimanerne schiavi.

Per quanto difficile possa sembrare, le due chiavi per uscire dal risentimento sono la comprensione e il perdono.

I nostri impulsi spingono nella direzione opposta, ne fanno una questione di autodifesa e sopravvivenza.

Eppure la strada è quella.

La comprensione aiuta a sentire ciò che l'altra persona sta provando, ci fa approdare all'empatia.

Dall'empatia, il perdono riesce a sbocciare in modo spontaneo, tu non devi fare nulla perché accada.

Ma per la comprensione, puoi fare molto.

Innanzitutto, trovando un posto tranquillo dove raccoglierti.

Il semplice atto di cambiare luogo, di allontanarsi dallo spazio dello scontro con un'altra persona, ti fa uscire dal corpo del cavernicolo e ti fa vedere ciò che sta accadendo con più distacco.

E qual è la prima cosa che vedrai, in modo chiaro?

Che anche l'altra persona in realtà sta agendo mossa dal cavernicolo che ha preso il sopravvento.

In un certo senso, mentre sbraita o inveisce contro di te, ella non è padrona di sé.

I passi da seguire?

Eccoli.

martedì 10 agosto 2010

La rabbia del cavernicolo


Riesci a ricordare l'ultima volta che hai provato risentimento verso qualcuno?

Sentirsi maltrattati, rimproverati, o anche abbandonati e offesi è un evento rispetto al quale nessuno può dirsi immune, se non pagando un altissimo prezzo di depersonalizzazione.

Emozioni del genere possono arrivare da uno scambio con un amico, un parente, un collega, il partner, persino da sconosciuti.

Se ti è accaduto di recente, poi, il senso di ingiustizia, di sgradevolezza e di risentimento saranno ancora freschi, nella tua mente.

Sia che si tratti di sensazioni recenti che di ricordi penosi, ti interesserebbe forse sapere cosa puoi fare per superare tutto questo.

In un certo senso, non puoi.

E non sto dicendo che sia una condanna, per carità.

Intendo dire che la gamma della rabbia e delle sfumature emotive che ne derivano quando ci scontriamo con gli altri si innesca perché in noi è ancora vivo quel cavernicolo che siamo stati almeno trentacinquemila anni fa, a giudicare dai più antichi resti di homo sapiens.

Sì, viviamo nell'ipertecnologia (e anche nell'ipermercato, infatti sono appena tornato da un centro commerciale), mimiamo la telepatia servendoci di marchingegni elettronici, inseguiamo l'ubiquità grazie agli smartphone, alle webcam, ci sdoppiamo le vite con i dualsim, possiamo fare le pazzie più incredibili per somigliare a David Bowman di 2001 Odissea nello spazio, ma dopotutto ci portiamo in petto ancora quell'ominide che armato di osso è pronto a uccidere il suo simile in nome della sopravvivenza.

Ora, lui è dentro di te, di me, di ogni persona che incroci giorno dopo giorno.

Come un estraneo col quale devi convivere, è necessario, prima di educarlo, che tu comprenda bene quale articolato meccanismo si innesca in lui, che è del tutto incapace di distinguere tra la caverna e la villa a due piani (ma anche se vivi in un angusto condominio tranquillizzati, lui la differenza non la noterà, comunque!).

Se inizi a scavare nell'archeologia della tua mente, potrai trovare quel cavernicolo a cui mi riferisco, il cui unico obiettivo è evitare l'estinzione, che all'epoca non doveva essere una passeggiata, com'è oggi in quasi tutto il mondo industrializzato.

Se vuoi sapere dove lo trovi, basta che tu dica io e potrai addirittura sentirlo, mentre ti abita.

lunedì 2 agosto 2010

Dalla critica al miglioramento

A nessuno piace ricevere critiche.

Perché ci sembrano sempre osservazioni indirizzate direttamente alla nostra persona.

Magari qualcuno accenna a un possibile cambiamento che potremmo fare, qualcun altro prova a mostrarci un diverso punto di osservazione sulle nostre opinioni, da qualcun altro ancora può arrivare - forse non richiesto ma non per questo sbagliato - un consiglio, una dritta.

Ci sono poi mestieri, soprattutto quelli artistici, dove chi si esprime chiede di sua volontà agli altri di proporre critiche al suo lavoro.

Se la critica funziona, se ha un certo grado di obiettività, essa finisce per misurare la distanza tra il modo in cui noi diciamo, pensiamo o facciamo qualcosa, e il modo ottimale al quale potremmo arrivare.

Suona, insomma, come una mancanza: la critica passa l'evidenziatore su un nostro essere carenti.

Quasi mai la critica ha a che fare con noi in quanto persone, il suo terreno coincide sempre con quello dei ruoli che ricopriamo nel vivere con gli altri: il marito, la maestra, lo studente, l'atleta, l'infermiera, il sacerdote, l'artista, il blogger e così via.

Dai ruoli che ricopriamo certamente si può risalire alla persona che siamo, i ruoli vengono riempiti di senso dalle nostre caratteristiche personali.

Ma le azioni che eseguiamo nei ruoli spesso non hanno alcun legame diretto con ciò che siamo.

La distinzione tra ciò che sei e ciò che fai è quanto mai pertinente, in questo caso.

Del resto, la critica ha una sua utilità proprio per questo: investendo aspetti attivi dei nostri ruoli, la critica prende le misure a come ci comportiamo, e ciò che è misurabile è sempre modificabile.