Pagine

domenica 27 aprile 2014

Consapevolezza: l'infinito dentro di te

È bello credere si possa diventare noi stessi conoscendo la nostra personalità e quella delle persone che ci circondano.

Ma l'idea di avere sempre innestata la marcia dell'autoconsapevolezza e dell'introspezione verso gli altri qualche dubbio lo suscita.

Il tema è antico quanto la nostra cultura, a partire dal conosci te stesso delfico.

Che cosa significa questa frase?

Una sfilza di cose:
  • conosci la tua personalità
  • sii consapevole di dove ti trovi
  • sappi a che punto della vita sei
  • sii la tua voce-guida
  • fidati del tuo intuito
  • esaminati in maniera obiettiva
Potrei continuare, ma già da questo piccolo elenco si vede come certe traduzioni e interpretazioni del famoso monito greco siano addirittura contraddittorie.

venerdì 25 aprile 2014

Felicità fa rima con relatività

Quando un uomo siede accanto a una bella ragazza per un'ora, pare che sia passato un minuto. Ma se quel tale siede per un minuto su una stufa accesa, gli sembrerà che sia passata più di un'ora. Ecco che cos'è la relatività.
Albert Einstein

Fame di stimoli
Uso molto il computer, ma non solo per scrivere post.

Ci sono mail da controllare, commenti da moderare, avvisi da leggere, materiali da archiviare, messaggi personali, account Google, Facebook, notizie, notifiche varie, links, condivisioni, e tutta l'enorme quantità di minuzie da tenere sott'occhio attraverso questo strumento che avrebbe dovuto solo semplificare tutto.

Però, non sempre faccio tutte queste cose, e non sempre la faccio allo stesso modo, con la stessa quantità e frequenza.

Controllo più spesso tutte queste cose non quando sono di meno, ma proprio quando sono di più.

Le mail, i commenti, le notifiche in genere funzionano come segnali d'attenzione nei miei riguardi.

Perciò mi stimolano a cercarne ancora.

Se vedo aumentare le visite a una mia pagina, nelle ore immediatamente successive vado a monitorare più spesso l'andamento, se un post o una foto o un testo qualsiasi riceve commenti, approvazioni di vario genere o diventa oggetto di condivisione, il mio occhio ricade con più frequenza su quella cosa, per verificare l'arrivo di altri segnali.

Dopo qualche giorno di calma, quando le visite si riducono, le notifiche tacciono, finisco addirittura per non pensarci più.

Anche col cibo è la stessa cosa, per non parlare di quando unisco le due cose, e o vado al ristorante per poi scriverne sul mio blog, o fotografo dei piatti da mettere sui social.

Nei giorni seguenti mi interrogo su come ripetere l'esperienza, cerco altri ristoranti da visitare e pregusto sia il cibo sia l'eventuale post da scrivere, oppure spulcio tra libri e siti di cucina, a caccia di qualche altro piatto da fare e fotografare.

giovedì 17 aprile 2014

Credere in sé, credere agli altri

L'integrità personale è un concetto difficile da trattare, e tuttavia determinante nelle relazioni.

Puoi essere una persona più o meno integra, per te e per gli altri, a seconda della distanza tra dove sei realmente e dove vorresti essere.

Per tutta la nostra vita, cerchiamo di ridurre questa distanza, perché sappiamo che è l'unico modo per dirci integri.

Ma in che modo possiamo ridurla?
  • Facendo progressi veri verso i nostri obiettivi
  • Riducendo i nostri obiettivi
  • Fingendo di far progressi verso i nostri obiettivi
  • Fingendo di aver ridotto i nostri obiettivi
Se per esempio vuoi diventare un bravo ballerino, puoi studiare e impegnarti tantissimo per diventarlo, puoi decidere che ti basta essere un ballerino modesto, puoi fare solo quei due o tre passi che ti vengono bene e cercare di campare di rendita anche con l'aiuto di qualche balla, puoi raccontare in giro che in realtà la cosa più importante per te è stare insieme alle persone e che imparare a ballare è solo un pretesto marginale.

Tutte e quattro le strategie hanno un perché, anche se le prime due, cioè lavorare duro per raggiungere una meta o accettare che quella meta non è realmente alla nostra portata, sono senz'altro le più obiettive.

I perché delle altre due strategie, basate sulla finzione, sono meno ovvi.

lunedì 14 aprile 2014

Le diete della mente

Forse è ancora un po' presto, ma l'ondata di caldo e di giornate praticamente estive ha già fatto uscire di casa i tanti cercatori-di-forma-fisica-dell-ultimo-minuto, che si vedono corricchiare e pedalare a orari persino improbabili.

E anche chi non esce a sgobbare e sudare, si porrà senz'altro il problema del calo del peso in vista della prova costume, ovviamente cercando e provando a seguire una... dieta.

A pensarci bene, l'unico metodo per non fallire una dieta è inventarla.

Poiché è molto difficile attenersi scrupolosamente a regimi restrittivi e a cambiamenti radicali d'abitudine, non è un mistero che la maggior parte dei tentativi di mettersi a dieta e dimagrire falliscano.

Invece, se sei tu l'inventore della dieta che proponi agli altri, l'incentivo a seguirla e il disincentivo a fare strappi rendono molto più facile la perseveranza.

Perché chi propone agli altri una dieta non sta solo facendola e quindi perdendo peso.

Sta anche costruendo il senso del suo stesso valore.

L'identità stessa di questa persona si baserebbe sul successo o sul fallimento del regime dietetico.

Se solo smettesse di praticare la dieta che predica, la ciccia aumenterebbe mostrando a tutti la sua ipocrisia.

E se la dieta non funziona, come minimo verrebbe tacciato di ciarlataneria.

In realtà, questo meccanismo funziona per tutte le forme di autodisciplina.

Ed è giusto che sia così.

Gli allenatori, i personal trainer sono ben motivati a tenersi in gran forma, perché il loro corpo è l'anima del loro commercio.

Lo stesso vale per chi insegna a vestirsi, a parlare in pubblico, a fare business.

La domanda è se in questo meccanismo rientrino anche gli psicologi e tutti i professionisti dell'aiuto.

domenica 13 aprile 2014

Raccontarsi per gioco, giocare per raccontarsi

Facciamo un gioco, un gioco in cui non si vince e non si perde, ma si esce più uniti, più consapevoli, più integrati.

Questo gioco ha a che fare con i dilemmi fondamentali del vivere, molto più che con i principi e i precetti morali.

Laddove i principi ti dicono che cosa dovresti fare e che cosa dovresti evitare, i dilemmi ti fanno dubitare che ci sia una risposta univoca sempre e comunque, e ogni volta ti fanno chiedere sarà il caso di accettare questa cosa o devo affermare me stesso?

Combattere o lasciar correre?

Aver fiducia o dubitare?

Pugno di ferro o guanto di velluto?

Fede o ragione?

Sono tutte incarnazioni del dilemma fondamentale, che ha due vie giuste e due errate.

Le due vie giuste consistono nell'accettare le cose che non si possono cambiare e nel provare a cambiare quelle che si potrebbero cambiare.

Le vie sbagliate sono l'inverso: provare a cambiare quando non si può e accettare passivamente ciò che invece non dovrebbe essere accettato.

Se io ti chiedessi raccontami un momento della tua vita in cui hai lottato per qualcosa e hai provato soddisfazione nel farlo?

Oppure, raccontami un momento della tua vita in cui hai lottato per qualcosa per poi rammaricartene?

Che tipo di storie pensi verrebbero fuori dai tuoi racconti?

venerdì 11 aprile 2014

La verità sulle bugie

Quando penso alle bugie mi vengono in mente le mafie: esistono da tempo immemore, saccheggiano in senso materiale e morale i territori, sconcertano chi assiste ai loro scempi ma nello stesso tempo non si trova quasi nessuno in grado di descrivere chi è stato e com'è fatto, anzi, se glielo chiedi si mostrano addirittura disinteressati.

Siamo tutti a rischio di raggiro e teniamo gli occhi aperti, ma che cosa siano esattamente le bugie, come funzionano, e soprattutto quali cose si possano definire bugie e quali no è un terreno molto accidentato.

Dire a qualcuno tu menti implicherebbe una chiara definizione della bugia, che a ben vedere non è affatto chiara e spesso dipende dalle preferenze personali di chi la definisce.

Di verità attorno alle bugie ne circolano tante: saranno tutte vere o nascondono qualche bugia anch'esse?

domenica 6 aprile 2014

Apostasia di un comunicatore consapevole


  L'isola di Wight
Avrei potuto dire utopia, o terra promessa, paradiso perduto.

Quei luoghi o quei mondi più o meno possibili che abbiamo agognato durante la nostra formazione e la nostra crescita.

In campo psicologico, sicuramente per me l'universo dell'approccio umanistico, e della psicologia centrata sulla persona sono stati la mia isola di Wight, un'isola sulla quale non posso dire di non essere approdato, ma che si è mostrata piuttosto diversa da come le carte mi indicavano.

Durante il mio apprendistato rogersiano, fui molto colpito dal lavoro di Thomas Gordon con le sue dritte su come essere efficaci, insegnanti efficaci, genitori efficaci, quel-che-ti-pare-efficaci, tanto da essere preso in giro da un collega che si occupava di fotocopiarmi i testi e che mi chiedeva ironicamente se fossi interessato  a un libro sui fotocopiatori efficaci e giù di lì.

Gordon, come Carkhuff, fa parte della generazione successiva a quella di Rogers, e tra la prima e la seconda ci passa la stessa differenza che c'è tra Socrate e Platone, o tra Gesù e San Paolo, tanto per capirci senza troppi fronzoli.

Apprezzabili sia i primi che i secondi, per diversi motivi, ma molto, troppo diversi.

Una psicologia, quella post-rogersiana, che in Italia è arrivata con quindici-vent'anni di distanza rispetto agli Stati Uniti, e che appunto al suo arrivo da noi raggiunse il suo massimo picco, nei suoi aspetti positivi, cioè il suo carattere popolare e pratico, e nelle sue pecche, cioè l'eccesso di sentimentalismo e di difficoltà nel metterla in atto.

Uno dei capisaldi del sistema di Gordon è quella tecnica tristemente tradotta in italiano con la definizione di io messaggio (questo perché nella nostra lingua messaggio è sia il nome che la prima persona singolare dell'indicativo presente di messaggiare, sebbene quest'ultimo sia un neologismo dell'era del cellulare): non si dovrebbe dire ti spiacerebbe portare fuori la spazzatura, ma bisognerebbe prendersi la responsabilità delle proprie preferenze e dire invece mi piacerebbe che tu portassi fuori la spazzatura.

Sto calcando la mano e le cose non sono mai così nette.

Ma che molti conoscitori di Rogers e Gordon ne abbiano approfittato per arrivare a simili assurdità è un dato di fatto.

E magari il problema fosse solo la spazzatura, per la quale basterebbe segnare su un foglio i turni di trasporto.

Diverso è quando si tratta di scegliere tra il dire tu sei egoista e il dire mi sento messo da parte.

L'assunto di base è che noi non possediamo un'autorità scientifica per poter dire a qualcuno se sia o meno egoista, possiamo essere sicuri solo di ciò che sentiamo, e questa è la sola cosa sulla quale poter accampare una certa autorità.

I più scaltri hanno colto sin dal primo momento la magagna dell'io messaggio, con battute del tipo io sento che tu sei egoista, come se l'io sento di partenza costituisse un viatico per dire tutto.

Insomma, l'io messaggio fa presto a diventare una scorciatoia, conscia o inconsapevole.

Il punto è allora duplice: perché cerchiamo delle formule per comunicare efficacemente, e se esse funzionino davvero del tutto o invece celino delle magagne.

Per scoprire delle possibili risposte, dobbiamo fare qualche passo nella natura intricata e affascinante del linguaggio verbale.

sabato 5 aprile 2014

Manuale di gestione (retorica) dei conflitti

L'essere umano è davvero la creatura più evoluta del pianeta.

Talmente evoluta da riuscire a fare due cose, importantissime per la stessa sopravvivenza.

La prima è intercettare le fesserie dei propri simili.

Crescendo, tutti noi sviluppiamo questa sorta di radar in grado di riconoscere bugie, mezze frasi, tentativi di manipolazione.

Lo costruiamo man mano, lo perfezioniamo col tempo, lo portiamo alla massima efficacia.

Ma non tutti riescono a conservarlo,

Perché l'essere umano ha anche bisogno di relazioni.

Di stare con gli altri, e con alcuni di essi starci molto tempo e molto vicino.

Così, la probabilità che il radar intercetti le fesserie di questi altri, vicini e lontani, è alta.

E qui entra in gioco la seconda cosa importantissima per la nostra sopravvivenza.

Col tempo, infatti, impariamo anche ad allontanare da noi tutto ciò che possa farci dubitare di noi stessi, della nostra integrità, che possa mettere a rischio la nostra autostima.

Compresi i radar dei nostri simili, quando intercettano le fesserie che ci servono per non metterci in discussione.

Perciò, utilizziamo tutti gli stratagemmi che il linguaggio e la retorica ci offrono pur di mettere in dubbio il radar degli altri, e allontanare ogni dubbio da noi.

Per questo i radar di alcune persone si danneggiano, sotto i colpi retorici delle persone a loro legate, dei partner, degli amici intimi, dei parenti stretti.

Chiedere gli uni agli altri di smantellare il proprio radar anti-fesserie in nome della reciproca amicizia, parentela, amore e qualsiasi altra sfumatura sentimentale finisce per negare quegli stessi sentimenti.

Se c'è una cosa che la specie umana ha sviluppato al massimo grado, è la capacità di indurre l'altro a dubitare delle proprie posizioni, e l'ha sviluppata tramite una serie di tecniche ben precise.

Alcune di esse sono indipendenti dal contenuto delle conversazioni umane, si possono usare come attrezzi buoni per tutti gli usi.

Altre sono invece più complesse e sopraffine, non si limitano a rispondere alle eventuali critiche ricevute dal radar del nostro interlocutore, ma vanno a ristrutturare il rapporto stesso, ci servono per metterci al di sopra e al di fuori del gioco, della discussione, della relazione stessa, se è il caso, come a dire solo un perdente potrebbe vedere quello che ci stiamo dicendo come una partita in cui uno vince e l'altro perde, e poiché io non lo sto facendo, è evidente che lo stai facendo tu e che quindi hai perso.

Purtroppo sono anche molto efficaci, perché mimano l'autenticità.

Forse ci sono anche situazioni nelle quali potrebbe essere lecito usarle.

Se però diventano un formulario stabile, un manuale di gestione retorica dei conflitti, vuol dire che non riusciamo più a sopportare neanche per un minuto la possibilità di essere in errore.

Cioè di farci carico dell'errore e cambiare in meglio.