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domenica 6 aprile 2014

Apostasia di un comunicatore consapevole


  L'isola di Wight
Avrei potuto dire utopia, o terra promessa, paradiso perduto.

Quei luoghi o quei mondi più o meno possibili che abbiamo agognato durante la nostra formazione e la nostra crescita.

In campo psicologico, sicuramente per me l'universo dell'approccio umanistico, e della psicologia centrata sulla persona sono stati la mia isola di Wight, un'isola sulla quale non posso dire di non essere approdato, ma che si è mostrata piuttosto diversa da come le carte mi indicavano.

Durante il mio apprendistato rogersiano, fui molto colpito dal lavoro di Thomas Gordon con le sue dritte su come essere efficaci, insegnanti efficaci, genitori efficaci, quel-che-ti-pare-efficaci, tanto da essere preso in giro da un collega che si occupava di fotocopiarmi i testi e che mi chiedeva ironicamente se fossi interessato  a un libro sui fotocopiatori efficaci e giù di lì.

Gordon, come Carkhuff, fa parte della generazione successiva a quella di Rogers, e tra la prima e la seconda ci passa la stessa differenza che c'è tra Socrate e Platone, o tra Gesù e San Paolo, tanto per capirci senza troppi fronzoli.

Apprezzabili sia i primi che i secondi, per diversi motivi, ma molto, troppo diversi.

Una psicologia, quella post-rogersiana, che in Italia è arrivata con quindici-vent'anni di distanza rispetto agli Stati Uniti, e che appunto al suo arrivo da noi raggiunse il suo massimo picco, nei suoi aspetti positivi, cioè il suo carattere popolare e pratico, e nelle sue pecche, cioè l'eccesso di sentimentalismo e di difficoltà nel metterla in atto.

Uno dei capisaldi del sistema di Gordon è quella tecnica tristemente tradotta in italiano con la definizione di io messaggio (questo perché nella nostra lingua messaggio è sia il nome che la prima persona singolare dell'indicativo presente di messaggiare, sebbene quest'ultimo sia un neologismo dell'era del cellulare): non si dovrebbe dire ti spiacerebbe portare fuori la spazzatura, ma bisognerebbe prendersi la responsabilità delle proprie preferenze e dire invece mi piacerebbe che tu portassi fuori la spazzatura.

Sto calcando la mano e le cose non sono mai così nette.

Ma che molti conoscitori di Rogers e Gordon ne abbiano approfittato per arrivare a simili assurdità è un dato di fatto.

E magari il problema fosse solo la spazzatura, per la quale basterebbe segnare su un foglio i turni di trasporto.

Diverso è quando si tratta di scegliere tra il dire tu sei egoista e il dire mi sento messo da parte.

L'assunto di base è che noi non possediamo un'autorità scientifica per poter dire a qualcuno se sia o meno egoista, possiamo essere sicuri solo di ciò che sentiamo, e questa è la sola cosa sulla quale poter accampare una certa autorità.

I più scaltri hanno colto sin dal primo momento la magagna dell'io messaggio, con battute del tipo io sento che tu sei egoista, come se l'io sento di partenza costituisse un viatico per dire tutto.

Insomma, l'io messaggio fa presto a diventare una scorciatoia, conscia o inconsapevole.

Il punto è allora duplice: perché cerchiamo delle formule per comunicare efficacemente, e se esse funzionino davvero del tutto o invece celino delle magagne.

Per scoprire delle possibili risposte, dobbiamo fare qualche passo nella natura intricata e affascinante del linguaggio verbale.


Vuole avere sempre l'ultima parola
Con questa formula spesso accusiamo il nostro interlocutore di impedirci un dialogo paritario, obiettivo, centrato sull'argomento, e lo incolpiamo di voler soltanto vincere.

Forse abbiamo ragione, ma non è detto che sia solo malafede.

Potrebbe essere la natura del nostro stesso linguaggio a provocare questo fenomeno, il rimarcare l'ultima parola.

Facciamo un esempio:

-Tu non mi pensi più.
- Sì, ti penso.
- Io non voglio discutere di questo.
- Non è un bel modo di ragionare.
- Inutile parlarne, è solo una perdita di tempo.
- Non lo è affatto.

Che cosa succede?

Dopo ogni botta e risposta, i due interlocutori in realtà cambiano l'oggetto della discussione, passando dal pensare all'altro all'opportunità del modo di fare e all'utilità del parlarne.

In questo processo, l'ultima parola viene utilizzata per saltare a un livello successivo, più elevato, e quindi per spostare la discussione.

Si tratta di un caso particolare di ciò che Paul Watzlawick ha definito punteggiatura degli eventi: in uno scambio relazionale, i membri della relazione dividono la sequenza di scambi in maniera arbitraria, stabilendo dove comincia e dove finisce ogni parte di essa, in base alle proprie esigenze.

Che ciò avvenga consapevolmente o inavvertitamente non conta, il risultato è sempre un dialogo infinitamente irrisolto.

Ed è il linguaggio stesso, sfidandoci a dire l'ultima parola, a perpetuare l'inconveniente.

Esso ci sfida a essere gli ultimi a parlare, perché attribuiamo all'ultima frase un irrazionale valore di verità definitiva.

La verità ultima
Se l'ultima parola è vera, non sarà mai né metaforica soggettiva.

Per questo, se qualcuno ci dice io voglio noi lo tradurremo con tu devi, e sono deluso diventerà sei stato sgarbato/sleale.

Il problema verte attorno al grado di oggettività di qualcosa, le nostre espressioni, che invece è pienamente soggettivo.

Siamo passati dall'appello alla moralità religiosa (questo non si fa perché Dio non vuole) alla pretesa scientificità delle opinioni personali, con la scienza che si inventa i geni di qualsiasi fregola individuale.

ORL: Onestà a Responsabilità Limitata
Ci piace pensarci sempre onesti e orientati alla correttezza, e tentiamo di dimostrarlo descrivendo come ci siamo evoluti nel nostro modo di negoziare, anche con strumenti come l'io messaggio.

Ma questi esempi, compresi quelli nei libri di Gordon e di altri, descrivono conflitti e incomprensioni mai veramente e del tutto gravi.

Quando però la pressione fa saltare i confini, è molto difficile conservare quest'orientamento alla correttezza, ed è molto più facile erigere muri contro l'altro o attaccarsi all'ultima parola.

Quante persone sarebbero davvero in grado di restare aperte e dire, nel bel mezzo di un conflitto acceso, guarda, di solito sono ben accogliente, ma stavolta è diverso e ho bisogno di difendere me e le mie scelte, invece che recuperare a tutti i costi?

La macchina della verità
L'io messaggio aspira ad avvicinarsi alla verità più di altre formule espressive.

Il problema è che dopo il pronome io ci può essere di tutto, anche dei veri pacchi.

Apparentemente, dire a qualcuno io ti vedo molto arrabbiato sembra un'affermazione più obiettiva che dire io mi sento intimidito.

La prima andrebbe suffragata da elementi descrittivi (stai alzando la voce, hai modi bruschi, stai sulle tue).

La seconda implicherebbe una capacità di autoesporsi e una fiducia nell'altro, che non ne approfitti con un'altra delle formule più equivocate della psicologia post-rogersiana, la famosa espressione è un tuo problema (ti senti intimidito? Non è un mio problema!).

Una macchina della verità, che possa intercettare come si sente l'altro a colpo sicuro sarebbe l'invenzione non del secolo né del millennio, ma di tutta l'esistenza umana sulla terra.

Peccato che non esista e che probabilmente continuerà a rimanere un sogno per sempre.

ΓΝΩΘΙΣΑΥΤΟΝ
Altrettanto difficile dire quanto siamo realmente obiettivi anche rispetto a ciò che sentiamo.

Tendiamo ad attribuirci un'autorità scientificamente obiettiva sui nostri sentimenti e le nostre emozioni, mentre chiunque abbia fatto psicoterapia, soprattutto di gruppo, sa bene che la capacità di riconoscere ciò che si prova è sempre in acquisizione e non è mai del tutto posseduta.

Dopotutto, pensiamo, chi meglio di noi stessi può conoscerci?

La pancia è la nostra, gli altri possono vedere solo la superficie, le loro sono soltanto speculazioni.

In realtà, siamo vittime di un forte conflitto d'interessi quando dobbiamo valutare ciò che proviamo, soprattutto per tutti quei sentimenti ed emozioni come la rabbia, la gelosia, la paura, che ci fanno sentire sminuiti.

Non è difficile pensare a quante volte abbiamo intuito la verità interiore degli altri, nonostante i loro tentativi di negarla.

Abbiamo visto la stanchezza e la distrazione nei nostri cari, come vediamo il disinteresse e la meschinità dei politici.

Soprattutto per quanto riguarda l'espressione dei nostri sentimenti, l'io messaggio  è tanto utile quanto rischioso.

In primo luogo, perché può essere usato come scorciatoia per evitare del tutto il confronto, con frasi del tipo mi sento ferito da questa discussione, alle quali segue una fuga.

In secondo luogo, l'io messaggio non garantisce - come sognava Gordon - di non ferire l'altro.

Dire a qualcuno, come nell'esempio appena fatto, mi sento ferito da questa discussione, nella stragrande maggioranza dei casi verrà interpretato come è colpa tua se mi sento così.

Provate pure a fare questo test, ad andare in giro tra le persone con le quali avete un certo dialogo e cominciare a dire loro io mi sento seguito da espressioni di emozioni e sentimenti spiacevoli, come frustrato, scontento, preoccupato, e verificate se la persona a cui dite questo non si sentirà responsabile almeno sette volte su dieci.

I (bi)sogni son desideri...
Faccio solo un accenno a questo aspetto della questione, perché il discorso sui bisogni meriterebbe un blog tutto suo.

Ma da quando Maslow elencò in forma di piramide i famosi bisogni primari, basati sulla metafora dei bisogni fisiologici, parlare di ciò che vogliamo è diventato molto più complicato.

Sembra infatti si debba distinguere, a questo punto, tra bisogni e desideri.

Mentre i bisogni sarebbero comuni a tutti gli uomini, i desideri invece emergono in circostanze particolari e richiedono specifiche strategie per la loro soddisfazione.

Uscire con un amico può essere un desiderio, nel momento in cui si desidera soddisfarlo esattamente con quella persona, e un bisogno se invece è uno dei tanti modi di stare in compagnia, intessere relazioni, distrarsi, coltivare interessi, piacersi e piacere.

Uscire con un amico quando si è già in una relazione invece che cos'è?

Spesso è un desiderio di uscire esattamente con quella persona perché ci piace esattamente quella persona, in quel momento più dell'altra.

Se però l'altra avanza dubbi, allora diventa un bisogno, ho bisogno di svagarmi, ho bisogno di divertirmi, ho bisogno di vita.

Il bisogno è investito di una priorità più elevata del desiderio, come i bisogni fisiologici sono alla base, mentre quelli di realizzazione sono più in cima alla piramide.

Se non si soddisfano quelli in basso, difficilmente arriveremo lassù.

Se non respiriamo e non ci nutriamo e non ci proteggiamo dalle intemperie, difficilmente troveremo un lavoro soddisfacente e un senso della vita.

Ma svagarsi, divertirsi, avere relazioni, distrarsi, coltivare interessi, piacersi e piacere sono una sorta di diritto, come l'aria, il cibo, la protezione fisica?

Non sono piuttosto frutto di uno scambio con la società?

Non sono qualcosa che ci si guadagna, trovando i propri simili e o adattandosi anche alle tendenze?

E non è forse vero che molti non riescono a guadagnare nulla di tutto ciò, proprio perché non trovano quei simili necessari o non riescono ad adattarsi?

Quante volte, allora, l'io messaggio è usato per esprimere qualcosa che vogliamo, senza aver ben compreso se sia un bisogno o un desiderio o tutt'e due o chissàchecosa?

Dirlo attraverso l'io messaggio renderà con assoluta certezza più accettabile il messaggio stesso, soprattutto quando il proprio bisogno-desiderio sembra andare dalla parte opposta dell'interlocutore al quale lo diciamo?

Io messaggio, tu messaggi, egli messaggia
Formule simili ci servono perché confrontarci può essere molto stressante.

L'io messaggio è un tentativo, senz'altro preferibile alla pretesa di dire le cose agli altri senza giudicare.

L'io messaggio è in realtà un giudizio, la cui vera virtù sta nel tentativo di assumersene la responsabilità personale.

Dire io penso o io sento sono formule indispensabili per introdurre quello che però è e resterà una propria opinione.

Tuttavia, l'io messaggio non resta immune da strategie evitanti e scorciatoie furbe, come abbiamo visto.

E sebbene abbia il fascino della pietra filosofale, è proprio sulla dura pietra del mettersi seriamente in discussione che si dimostrerà la sua tenuta.

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