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venerdì 29 aprile 2011

Un corpo che pensa

Facciamo sì con la testa perché siamo d'accordo o siamo d'accordo perché facciamo sì con la testa?

Gli ultimi esperimenti di quei burloni oltreoceano dimostrerebbero che annuire aumenta la probabilità di essere d'accordo con qualcuno o qualcosa, di trovare piacevole qualcuno o qualcosa, di sentirsi in sostanza bene o meno bene.

Chiedendo a gruppi di persone di fare con la testa mentre ascoltano musica o guardano immagini, si è scoperto che quella musica o quell'immagine riscuotono più successo del normale.

Addirittura, immagini o concetti presentati su un supporto rettangolare orientato in verticale - che obbliga a fare su e giù con la testa -  piacciono di più di quelli presentati col rettangolo in orizzontale - che invece costringe a ruotare il capo verso destra e sinistra, come a dire "no"- .

Dove ci porta tutto questo?

Alla conoscenza corporea, quella che gli americani chiamano embodied cognition, una ipotesi frutto di un programma di ricerca sulle strette correlazioni tra come usiamo il corpo e come pensiamo.


L'omuncolo
Le teorie più antiche si basano sempre sul presupposto che la mente crei una mappa del mondo circostante e la usi come guida per orientarsi nell'ambiente.

Alcuni filosofi chiamano questa la teoria dell'omuncolo: in me ci sarebbe un me stesso piccolino che mi governa, un po' come i vari Actarus o Hiroshi alla guida di Goldrake o Jeeg Robot d'acciaio.

Questo omuncolo "vede" la rappresentazione del mondo circostante, come un pilota la vede sullo schermo radar, e può dare i comandi giusti.

La similitudine però presenta un problema: lo schermo radar, nell'essere umano, dove si situerebbe?

Come farebbe l'omuncolo a "rappresentarsi" la mappa del mondo circostante?

Essa non dovrebbe comunque essere costituita da simboli?

E questi simboli non dovrebbero rimandare ad altre immagini?

Quindi ci sarebbe una rappresentazione della rappresentazione?

E perché non una terza, una quarta, all'infinito?

I fautori della conoscenza corporea spiegano la loro ipotesi facendo a meno della mappa, utilizzando però un'altra metafora: la bilancia.

Il corpo umano "conosce" il mondo circostante perché lo "prova" su di sé, esattamente come la molla di una bilancia che si schiaccia in base al peso dell'oggetto posato su essa.

La molla non fornisce una rappresentazione simbolica di quanto pesa l'oggetto, ma è il suo stesso "corpo" a rappresentare l'effetto di questo peso.

Analogamente, il nostro corpo interagirebbe direttamente con la realtà circostante.

Ma cos'hai nella testa?
A questa domanda hanno cercato di rispondere George Lakoff e Mark Johnson con i loro studi sulle metafore come strumenti per la comprensione della realtà.

Quando diciamo che l'amore è un viaggio, per esempio, stiamo dicendo che ha un punto di partenza e uno o più punti d'arrivo, che può essere faticoso ma gratificante, che può portarci in luoghi inaspettati e così via.

Che l'essere umano conosca nuove cose soprattutto paragonandole a cose che già conosce non è un concetto tipico dei sostenitori della conoscenza corporea, ma è condiviso da molti cognitivisti ed è alla base di parecchi funzionamenti mnemonici.

Il punto è un altro: perché facciamo così?

Secondo Lakoff e Johnson dipende in larga misura da com'è fatto il nostro corpo.

Nella mente umana si formano alcuni concetti basilari, dalle mille applicazioni, semplicemente perché siamo fatti con il corpo che abbiamo.

Concetti come su, giù, davanti, dietro, dentro, fuori, vicino e lontano dipendono strettamente dalla nostra struttura fisica.

L'opposizione tra su e giù, per esempio, dipende dalla nostra evoluzione verso la posizione eretta, e nello stesso modo si possono spiegare gli altri concetti.

Quanto sia stato importante per il passaggio tra primati ed esseri umani l'alzarsi in piedi è risaputo.

E se alzarsi in piedi è diventato vitale, va da sé che alzarsi in piedi rappresenta per noi il meglio, mentre cadere è il contrario.

Non deve stupirci allora l'assocazione tra il concetto spaziale su e l'idea di felicità e benessere, così come il concetto di giù è associato all'idea di malumore o depressione (altra parola metaforica).

Se qualcuno dice mi sento proprio a terra o se diciamo a qualcun altro dai, tirati su stiamo perpetuando questo giochino associativo.

La conseguenza di questa ipotesi è feconda: gli esseri con un corpo affatto differente dal nostro potrebbero non comprendere mai il significato di alcuni nostri concetti.

Immaginate - suggeriscono Lakoff e Johnson - un essere di forma sferica: che senso avrebbe per lui l'idea di su e giù se egli in realtà non farebbe che rotolare di qua e di là?

P.S. Questo forse spiega perché alle persone che ci sembrano non avere mai né alti bassi a volte diciamo sei proprio una palla?

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