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mercoledì 9 settembre 2015

le ultime parole gravose

Questa non è una barzelletta, anche se per certi versi può sembrare tale.

Si tratta di qualcosa che, a differenza delle barzellette - quasi sempre iperboliche e perciò rare a riscontrarsi nella realtà - accade molto più spesso di quanto riusciamo ad accorgerci.

O forse ce ne accorgiamo tutte le volte, e non saprei se è meglio.

Accade quando si parla, indipendentemente dall'argomento e dall'importanza che esso ha per coloro che parlano.

Per questo, se due persone parlano di ciò che sta loro a cuore, è tremendamente più importante.

Parlano, e come a volte è naturale e inevitabile, scoprono di non comprendere qualcosa del loro stesso parlare.

E allora comincia la vera e propria barzelletta, che però non è una barzelletta.

Il primo dice: non ho fatto questa cosa o non intendevo questo.

L'altro risponde: adesso ti stai difendendo.

Allora il primo ribatte: no, sei tu che adesso stai affibbiando a me quello che ti fa comodo.

E l'altro ancora: ma che mi vuoi psicoanalizzare?

Così il primo va oltre: così non andiamo da nessuna parte!

Forse fa anche ridere, come una barzelletta.

Ma è un ridere freddo, quasi agghiacciante.

Che cosa succede in queste circostanze?

Le persone parlano, poi parlano di come stanno parlando, e ancora parlano di come stanno parlando su come stavano parlando e così via.

E non è che facendo così non si vada da nessuna parte, anzi.

Si va a un piano sempre più alto di un grattacielo vertiginoso.

C'è una direzione.

Il problema è se si arrivi o meno a un finale.

I matematici insegnano che si può sempre fare più uno.

Qualcuno allora dice: perché preoccuparsi di andare a un livello sempre più alto, di andare a parlare di come si sta parlando su come si sta parlando eccetera se non c'è mai fine? Tanto vale rimanere al pian terreno, alla base, a quello che è, invece di costruire sempre un attico sopra un altro, di aprire matrioske sempre più profonde, o di spezzare il percorso della freccia che non arriva mai al suo bersaglio, per cui nonostante lo spazio occupato istante dopo istante essa resta immobile?

E l'ultimo esempio, quello del paradosso di Zenone, ci introduce al vero argomento, il paradosso del linguaggio.

Quando c'è una divergenza, uno invita  a guardare il singolo albero e non la foresta, mentre l'altro chiede di fare l'esatto contrario.

Chi può dire quale dei due modi di osservare è quello giusto?

Il linguaggio ci permette sempre di parlare del parlare del parlare e così via, ma non ci fornisce nessun sistema per smettere di farlo nella certezza di essere arrivati a una vera fine.

Nel linguaggio non esiste l'ultima parola e tuttavia esso invita sempre chi parla ad averla, questa benedetta ultima parola.

Non c'è assolutamente niente nel mondo reale che possa stabilire se è meglio l'albero o la foresta, o se la tua ultima parola è più ultima della mia.

Nel mondo reale ci sono persone, che sono venute su e hanno appreso a reagire in modi differenti.

Per tenere a bada lo stress, il disagio o l'ansia che l'incertezza provoca, le persone tendono a preferire l'albero o la foresta, a piazzare l'ultima parola o a rimanere quanto più è possibile alla prima, quella terra terra.

C'è chi si sente a disagio quando l'altro continua ad aprire mille cassetti uno dentro l'altro, e svicola.

Sono coloro che dichiarano di non voler drammatizzare, o perdersi nelle speculazioni, e di voler evitare complicazioni.

C'è chi invece diffida e si angoscia per chi sembra voler restare troppo terra terra, senza mai approfondire.

Sono coloro che dichiarano di voler andare a fondo, di condividersi in modo più intimo, di volersi conoscere nei più recessi angoli della propria anima.

Entrambi in realtà cercano sicurezza e libertà di viversi.

Tutti possiamo far sentire l'altro insicuro e limitato nella sua libertà di essere, sia rimanendo attaccati a un parlare terra terra, sia facendo complesse elaborazioni fino ad altezze vertiginose.

Chi vuole rimanere saldo a terra e reagisce all'altro con modalità fredda, razionalizzante, può generare una fortissima ansia in chi l'ascolta, esattamente come chi rimette in discussione sempre ogni frase che è stata appena detta, persino le sue, può mandare in tilt la persona che ha di fronte.

Come se non bastasse, si può anche non essere consapevoli della posizione che si occupa, credersi e dichiararsi terra terra quando invece si sta facendo il giochino del parlare sul parlare, oppure spacciarsi per coloro che dichiarano di volersi mettere in discussione a livelli profondi e sottili quando invece si sta soltanto difendendo la propria posizione.

Si può dire guarda, adesso ti parlo pane al pane e vino al vino, da quello che dici capisco che c'è qualcosa che non va, e in realtà si sta già parlando del parlare.

Analogamente, si può dire sono pronto a esplorare, ad analizzare tutte le diverse possibilità, a mettermi in altri panni e vedere le cose a livelli diversi, però per me vale sempre una certa premessa di base, e quindi si sa già di voler rimanere immobili alla partenza.

Alcune persone hanno bisogno di scavare, elaborare, approfondire, spaccare il capello, altre cercano di evitare come un labirinto pericoloso tutto ciò che va oltre il detto.

Il paradosso è che entrambi si comportano così per lo stesso motivo: sentirsi più sicuri e più liberi di esprimersi nella loro relazione.

Riusciranno a dirselo abbastanza schiettamente e altrettanto profondamente da trovare sicurezza e libertà?

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