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sabato 12 settembre 2015

C'eravamo tanto emozionati

Qualcuno ti ha appena attaccato o insultato, e prima di rendertene conto la tua pressione sta già schizzando.

In ogni tuo angolo, il rancore dilaga e la possibilità di conservare la calma si riduce sempre più.

Fai un bel respiro.

Poi, ti volti con un'espressione neutra, e dispieghi tutta la benevolenza possibile.

Per una volta, ti riesce di non contrattaccare.

Addirittura, ti esce una di quelle frasi grondanti di perdono e dignità.

Può essere?

Forse, e se quel perdono e quella benevolenza siano davvero sentiti importa poco, perché funziona.

Non solo l'altro si trova spiazzato, ma tu senti il senso di minaccia svanire, e la sicurezza su dove ti trovi crescere.

Da qui in poi, conservare la calma diventa sempre più facile, dopo la difficoltà iniziale a resistere alla spinta reattiva.

La fibrillazione iniziale che ti faceva traballare si muta in una solidità granitica che ti tiene in equilibrio.


Mi fa venire in mente quando ho imparato ad andare in bicicletta in cinque minuti perché la situazione lo imponeva, e non so nemmeno io come ho fatto a passare dal disequilibrio all'equilibrio in un attimo, ma l'ho fatto.

Situazioni simili di solito sono usate per dimostrare che le emozioni non sono un dato fisso ma qualcosa di flessibile.

Tutto starebbe nel modo in cui interpretiamo la situazione.

Racconta(ti) una storia differente e genererai (in te) emozioni differenti.

Da notare che se pure la resistenza alla reazione iniziale potrebbe essere letta come falsa perché non spontanea, è altrettanto vero che la leggerezza, la facilità e la sensazione di scivolare via con le proprie emozioni senza sforzo dopo è vissuta come molto spontanea.

Come se il confine tra emozioni differenti fosse davvero una porta tra due mondi, entrambi veri ma incomunicabili e intangibili come due parallele.

Magari, seguendo la reazione iniziale si finiva all'ospedale, mentre cambiando storia ci si sente ancora più sicuri nel rapporto con quella stessa persona che pure ci aveva insultati.

Cambiare l'interpretazione della situazione coincide con il cambiare comportamento, ma proprio a livello fisico (il fermarsi, il respirare, l'assumere un'espressione neutra).

Le emozioni si possono addirittura cavalcare, le si può recitare ed esse diventeranno sentite.

Da questa considerazione si sviluppa quell'idea o quella teoria per la quale le emozioni sono sempre controllabili.

Secondo questa teoria, in ogni situazione si ha il controllo totale della propria flessibilità emotiva e si può scegliere se essere arrabbiati e risentiti oppure tolleranti e compassionevoli.

C'è anche una sottile implicazione, per la quale - ad esempio - se hai il pieno controllo nello scegliere tra risentimento e perdono, e se il perdono è la cosa giusta da scegliere, allora restare risentiti è sbagliato.

Ma c'è davvero un modo ovvio e giusto?

Con le parole ci si può anche giocare, il risentimento può diventare la volontà di mantenere i propri principi senza recedere (e suona positivo) per cui non perdonare diventa improvvisamente giusto, mentre il perdono può diventare essere passivi alla malevolenza altrui (e suona negativo) e quindi perdonare è un fallimento.

Controllare le emozioni allora assume un duplice significato: da un lato vuol dire controllare di essere dalla parte giusta (come a volte suggeriscono i titoli di certi manuali di autoaiuto spicciolo, come smetti di sentirti così, puoi farlo) dall'altro, significa addirittura poter scegliere come sentirsi.

E quando parliamo di scelta vuol dire che stiamo contemplando un'alternativa tra due opzioni o addirittura un campionario di possibilità, come davanti a una lista di canzoni da ascoltare: leggendola, scopriamo che oltre a quella canzone ovvia ce ne sono tante altre che ci starebbero bene, e altre ancora che non sentiamo da tanto tempo, e questa poi? Non me la ricordo, mettiamola un po'...

Mi fa venire in mente la funzione di Facebook dove si può scegliere una faccina associata a una descrizione di come ci si sente: quante persone, nello scorrere la lista di stati emotivi, sceglieranno quella pensata sin dall'inizio, e quanti invece si troveranno a dubitare di come stanno, o addirittura sceglieranno consapevolmente qualcosa di diverso da ciò che credono di sentire, perché non vogliono apparire in preda a determinate emozioni?

Il controllo emotivo - ammesso sia un reale controllo - forse non corrisponde a un vero potere di controllo, al massimo a un allargamento delle possibilità, di fronte alle quali si potrebbero provare ulteriori emozioni di smarrimento.

Del controllo emotivo, poi, si fa un gran parlare, e questo è un altro segnale.

Nessuno parla mai o sostiene una teoria opposta: non si può controllare un bel niente, quel che c'è c'è e basta.

Eppure, nonostante la mancanza di un'esposizione scientifica o di un'argomentazione completa su questa idea, essa è spesso presente nelle nostre conversazioni, nei nostri scambi, nei nostri conflitti.

Sta tre le pieghe, quando in qualche modo vogliamo che le nostre emozioni abbiano effetto sugli altri.

Quando diciamo mi sento così, che ci posso fare? oppure ma no, ti sto solo dicendo come mi sento.

L'idea che non si possa controllare o modificare l'emozione si porta con sé un'implicito prendere o lasciare, ma non ci dice se le emozioni di una persona saranno più o meno stabili o fluttuanti, e allora bisognerebbe stare lì a monitorarle di continuo, come se ci si misurasse la febbre.

E infatti questo lo facciamo reciprocamente, chiedendo in modo esplicito come stai, come ti senti, ti piace, persino ti voglio bene e ti amo, pur non essendo domande, a volte vogliono indurre l'interlocutore a leggere in quel momento il termometro del suo bene e del suo amore.

Se la riposta alle nostre domande è incompatibile con le nostre aspettative (per esempio, l'altro ci dice che non sta bene con noi) ecco che faremo altri controlli, alla ricerca di fluttuazioni dello stato d'animo, migliori per noi; se invece la risposta è in linea con ciò che ci aspettiamo (e quindi la risposta dell'altro è che sta bene con noi) i nostri successivi controlli tenderanno a cercare segni di stabilità dello stato d'animo.

L'idea che c'è sempre un'emozione per ogni situazione, unica e impossibile da scegliere o modificare, semplifica e rende necessaria soltanto l'autenticità di chi la prova, quando deve comunicarla.

L'idea che invece le emozioni possibili siano molteplici e si possano controllare, modulare, scegliere o cambiare rende molto più complessa la questione: da una parte, un abile utilizzatore di emozioni intercambiabili potrebbe mostrare un'autenticità di facciata, dall'altra, una persona veramente sincera, avrebbe grandi difficoltà a dire come si sente, davanti a tutte quelle emozioni che turbinano come la ruota della roulette in attesa della scelta.

Sono due visioni estreme, tra le quali probabilmente si colloca ciò che accade realmente.

Non siamo onnipotenti nei confronti delle emozioni, ci saranno situazioni nelle quali sarà impossibile scegliere un'emozione diversa da quella che ci ha già colti, e situazioni invece talmente incerte nelle quali il nostro termometro per dire quanta e quale febbre emotiva abbiamo sarà inefficace.

Forse si potrebbe stare nel mezzo, rinunciando alla semplificazione per la quale a ogni situazione esiste una e una sola risposta emotiva, ma anche all'esagerazione per la quale si può provare qualunque cosa la nostra mente scelga, e adottare un'idea più probabilistica di come ci sentiamo e di quanta parte di ogni singola emozione possibile può esserci in noi.

Come adesso, sono soddisfatto all'80 % di ciò che ho scritto, ma incerto nella misura del 20 % circa sulla reale chiarezza delle mie parole...

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