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giovedì 27 febbraio 2014

Felice o significativa: che vita scegli?

Se cominci a dare un senso alle cose, significa che stai invecchiando.

Poco più che una battuta, in queste parole che Paolo Sorrentino mette in bocca al suo Tony Pagoda in Hanno tutti ragione, ma spesso una battuta riesce ad andare più a fondo di qualunque altro metodo.

Se poi l'oggetto d'indagine è la vita, le sue scelte, la luce che assumono se viste in termini di felicità e significato, si può capire che la dimensione principale sulla quale si gioca la partita è proprio il tempo che passa nella vita di un uomo.

Una vita felice e una vita significativa, infatti, non solo spesso non coincidono affatto, ma è anche molto difficile osservarle nello stesso lasso di tempo.


La felicità, infatti, è una sensazione soggettiva di benessere caratterizzata da una positiva tonalità affettiva.

Essa è direttamente collegata alla soddisfazione dei bisogni e dei desideri di ognuno di noi.

Una vita significativa, invece, è qualcosa di molto più complesso, anche e soprattutto perché la si può esaminare solo in seguito a un tempo sufficientemente ampio.

Mentre la felicità tende a riferirsi meramente al presente, il significato della nostra vita fa da collante tra presente, passato e futuro.

Le due cose sono senz'altro in relazione, ma non c'è rapporto di causa-effetto, laddove la soddisfazione dei desideri è sicuramente fonte di felicità, ma non comporta necessariamente la convinzione di aver dato significato alla propria esistenza.

Anzi, da una parte le persone trovano la loro vita felice in base a una mera differenza numerica tra momenti facili e momenti difficili, mentre si rendono conto del significato del proprio vissuto soprattutto in base alle difficoltà e al modo in cui le hanno affrontate.

L'estensione temporale che differenzia le due condizioni in questione è anche ciò che le determina: solo concentrandosi sul qui ed ora è possibile assaporare la felicità, mentre dedicare del tempo a immaginare il futuro ci fa esperire la possibilità di dare senso ai nostri giorni.

La felicità esiste essenzialmente nel presente, invece il significato di una vita emerge soltanto dalla coerenza storica delle dimensioni temporali vissute e ancora da vivere.

Felicità e significato possono anche collidere: le vite piene di significato sono spesso costellate di grandi e penose difficoltà, cosa che allontana la possibilità di essere felici; lo stress e gli eventi negativi affossano la felicità, anche se chi li vive e li supera li utilizzerà proprio per scorgere il proprio significato esistenziale.

La felicità invece si manifesta soprattutto nell'ottenere ciò che si vuole o ciò di cui si ha bisogno, sia da un punto di vista materiale che relazionale.

La persona felice sente di aver ricevuto qualcosa, mentre spesso si ritiene significativo per la propria vita l'atto inverso, quello del dare agli altri.

La vita felice e la vita significativa non sono solo frutto di atteggiamenti, ma nel corso dei secoli sono state addirittura formalizzate in vere e proprie concezioni religiose: mentre le religioni che si orientano attorno al buddhismo mettono in gran risalto la felicità come liberazione dalla dimensione temporale, da trovare nel presente, le religioni monoteiste sottolineano l'importanza di raggiungere un aldilà che è innanzitutto temporale, addirittura una scissione tra una vita terrena, fatta di prove, e una vita ultraterrena, nella quale si potrà godere il premio o scontare una pena.

Superare le difficoltà della vita diventa così una vittoria sul male, che dà significato all'esistenza.

Tuttavia, è proprio al constatazione dell'inevitabilità della sofferenza che portò il Buddha alla sua condizione di risvegliato.

La sofferenza, dunque, da cortina divisoria di due atteggiamenti apparentemente opposti, diventa invece il punto di contatto nel quale si annida la saggezza, intesa come somma dei momenti felici raggiunti e non sprecati, caratterizzati però dalla capacità di condividerli con gli altri, per costruire una memoria che faccia da base al significato della vita.

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