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lunedì 26 agosto 2013

Insulti razzisti: indignazione o indifferenza?

Poche settimane fa ho parlato di razzismo a partire da alcuni commenti di esponenti politici del nostro paese, ma di recente un altro episodio mi spinge a riparlarne.

Il campo stavolta è più ristretto, e la notizia è circoscritta al mondo enogastronomico.

Fulvio Bressan, produttore di vini friulano, si rivolge via Facebook al ministro Kyenge con preziosismi linguistici del tipo sporca scimmia nera e negra mantenuta di merda.

Il primo ovvio risultato di una simile uscita è che oggi, a digitare il suo nome su Google, invece delle lodi ai suoi vini ci trovate le reazioni dei siti e dei blog su vino e gastronomia dopo questa bella uscita.

In queste reazioni si confrontano le posizioni di chi appoggia le idee del vignaiolo, di chi ne condanna solo la violenza verbale, e di coloro che invece dichiarano di escluderlo per sempre come fornitore.

Purtroppo però il confronto dei commentatori si è quasi sempre spostato verso le argomentazioni sulle politiche dell'immigrazione, perdendo a volte di vista il problema centrale, cioè quello del dare della scimmia e della negra alla Kyenge, della quale poi si potranno criticare anche aspramente tutte le idee e le azioni da ministro.

Questo bisogno di inveire che, nel caso in cui l'oggetto dell'ira sia una persona dalla pelle di un altro colore, si configura sempre come un attacco all'etnia, un'associazione con l'inferiorità e la sporcizia tout court e un'identificazione con la nullafacenza e il parassitismo.

Due sono i fenomeni dei quali mi interessa parlare, che emergono dalla vicenda.

L'accostamento tra la pelle scura e la scimmia e l'indifferenza o il tentativo di mostrarsi razionali dopo aver assistito a episodi di palese disprezzo razziale.


Scienziati e archeologi da tempo non fanno altro che confermarci le origini dell'umanità in Africa ma forse non c'è da esserne tanto felici.

Perché quest'associazione tra Africa e origini dell'umanità favorisce lo stereotipo per il quale chi deriva da questa discendenza africana sia un parente più prossimo alla scimmia di chi invece deriva da una discendenza europea.

E da questa associazione ne scaturisce un'altra, cioè che i tratti dell'uomo europeo incarnino meglio quelli dell'essere umano civilizzato.

Uno studio californiano qualche anno fa sperimentò la forza di questi stereotipi con un esperimento singolare.

Ai partecipanti furono mostrate delle immagini deformate di animali di vario genere e fu loro chiesto di indovinare di quale animale si trattasse, man mano che le immagini venivano rese più leggibili.

A loro insaputa, i conduttori dell'esperimento inserirono con tecniche di esposizione subliminale le foto di volti di persone dalla pelle nera e bianca.

L'immagine della scimmia veniva riconosciuta prima di tutte le altre quando, per millesimi di secondo, quindi a un livello percettivo non consapevole, prima di essa appariva un volto dalla pelle nera, mentre in tutti gli altri casi - compresi quelli in cui si proiettava il volto bianco - questo non accadeva.

Per approfondire, a questo esperimento ne fece seguito un altro: in una prima fase, ai partecipanti venivano fatte leggere o comunque mostrate parole pertinenti alle scimmie o ad altri animali; in una seconda fase, si mostrava loro un duro interrogatorio con un poliziotto piuttosto violento nei confronti dell'interrogato, ma quest'ultimo non era visibile del tutto e dal dialogo alcuni indizi lasciavano intendere che si trattava di una persona dalla pelle nera o dalla pelle bianca, a seconda dei casi.

Ai partecipanti poi veniva chiesto di spiegare perché secondo loro il poliziotto aveva condotto l'interrogatorio in quel modo.

Coloro ai quali erano state mostrate le parole inerenti alle scimmie e ai quali era stato fatto credere, dal dialogo, che si trattasse di un individuo di origine africana, tendevano sensibilmente a giustificare il poliziotto e ad attribuire al comportamento dell'interrogato la responsabilità della condotta durante l'interrogatorio.

L'ipotesi è che quest'associazione tra origine africana e scimmia sia qualcosa che scatta prima che la consapevolezza della persona possa governarla e che comunque gli esseri umani non accedono consciamente ai propri pregiudizi.

Nonostante la forma scritta, che in passato richiedeva meditazione, con Facebook e altri strumenti simili è più facile che si vomitino fuori frasi delle quali forse un attimo dopo ci si potrebbe pentire (anche se questo non è il caso di Bressan che anzi ha rincarato la dose anche in seguito).

L'altro corno della questione è nel principio in base al quale si potrebbe separare il modo in cui una persona si esprime dal contenuto che esprime.

Quindi, secondo quest'idea, il vignaiolo avrebbe detto cose esatte circa l'afflusso migratorio, pur sbagliando a insultare il ministro, e soprattutto che questa uscita niente dovrebbe avere a che fare con l'atteggiamento verso i suoi vini.

A me questa posizione sembra somigliare molto a una malcelata indifferenza.

Il vero pericolo dell'indifferenza è che fintanto che un episodio non mi tocca personalmente, posso evitare di assumere una qualsiasi responsabilità o posizione nei suoi confronti.

Questo fenomeno è riscontrabile molto spesso negli stadi, in concomitanza con forme di razzismo più o meno evidenti: dopo l'esposizione di striscioni razzisti, sono tutti pronti alla condanna mediatica e pecuniaria, e le autorità - se ne hanno i mezzi, come foto e filmati - puniscono anche gli autori del fatto, ma durante l'evento né le forze dell'ordine né i tifosi intorno hanno grandi reazioni.

Su un piano teorico, le persone si dichiarano molto più pronte a opporsi a simili misfatti di quanto poi realmente facciano quando ci si trovano dentro.

A questa ipotesi hanno lavorato alcuni ricercatori del Regno Unito, costruendo un esperimento ad hoc.

A un pubblico dalla pelle bianca - per evitare una facile partigianeria - e diviso in tre gruppi si mostra una scena con due ragazzi, pelle nera l'uno, bianca l'altro.

Il primo, nell'allontanarsi dalla stanza, urta il piede del secondo, il quale o commenta con disprezzo l'incidente, facendo riferimento al colore della pelle, o fa un commento lievemente razzista, o tace.

A coloro che hanno assistito alla scena viene poi chiesto chi sceglierebbero tra i due come partner per una situazione comune, per esempio un lavoro o come compagno di studi o coinquilino.

In tutti e tre i casi, la maggioranza dei partecipanti ha scelto il ragazzo dalla pelle bianca, dimostrando che l'eventuale commento razzista non ha una vera influenza sulle scelte successive di chi lo ha visto e sentito.

La dinamica è la stessa del caso di Bressan, forse nella maggior parte dei casi c'è chi continuerà a comprare i suoi vini perché in fondo quelle cose non le ha dette a me.

Come reagirai, la prossima volta, davanti a un episodio del genere?

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