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lunedì 9 settembre 2013

Tutti a scuola: cinque riflessioni indispensabili per insegnare

Da questa settimana riaprono le scuole italiane, e tutti gli insegnanti sono chiamati a un compito titanico.

Nella crisi e nello smarrimento che caratterizzano i nostri giorni, tenere il timone delle classi di studenti richiede doti, capacità e attitudini che giustamente non possono appartenere a ogni persona in maniera indistinta.

Se è vero che il lavoro dell'insegnante è ormai sottostimato - anche in termini economici - e che chi insegna non è più quella porta sul mondo che in passato poteva addirittura affascinare gli studenti, e che oggi invece appare obsoleto poiché i ragazzi hanno accesso immediato all'informazione semplicemente tirando fuori i loro smartphone dalle tasche, è altrettanto vero che a volte gli insegnanti se la cercano.

Ecco alcune riflessioni, ora in veste di consiglio e altre di monito, comunque espresse con piena solidarietà e con l'augurio di essere artefici di un'esperienza significativa per tutti gli studenti.


Prima il dovere, poi il piacere
Un vecchio adagio che però vale ancora soprattutto per chi insegna.

Nel senso che l'insegnante non deve concentrarsi sul desiderio di piacere ai suoi studenti.

L'eventualità ovviamente non è da disprezzare, ma perseguirne volontariamente lo scopo può far deragliare anche il più virtuoso dei maestri.

Nei primi giorni e nelle prime settimane, è in gioco qualcosa di molto più importante del piacergli: il rispetto.

Gli studenti devono preoccuparsi delle loro prestazioni e delle valutazioni dell'insegnante.

Non è l'insegnante a doversi preoccupare del loro giudizio.

Gli studenti non sono amici, così come non lo sono i figli né i genitori.

Essere un insegnante efficace dipende da una parte sulla consapevolezza dei confini tra i ruoli, e da un'altra parte dal percorso coerente con il quale ci si presenta.

Meglio partire con fermezza e poi pian piano cogliere le occasioni giuste per aprire le porte alla vivacità, all'ironia e ad atteggiamenti più bonari, che il contrario.

Il chiodo fisso
Pur facendo di tutto per non impressionarli, ogni insegnante in realtà fa colpo inevitabilmente sui suoi studenti.

Anche se essi a volte dichiarano con spocchia che non gliene frega niente stanno mentendo: gli importa molto invece.

Aiutarli a riconoscere, articolare e accogliere le loro tendenze è la maniera migliore per far capire loro che la scuola non è un'altro pianeta.

Che cos'è un nome?
Shakespeare è un grande ma in questo si sbagliava: forse una rosa resta tale nel colore e nel profumo anche se la chiamiamo margherita, ma se un insegnante chiama Margherita una studentessa di nome Rosa sta scavando un canyon di distanza tra sé e gli studenti.

Se c'è un'abilità che ogni insegnante deve sforzarsi di mostrare al più presto con i suoi studenti, questa è il conoscere i loro nomi.

Non è un compito impossibile, anche con centinaia di studenti, come accade a chi fa solo due ore settimanali per classe.

E poi i nomi vanno ricordati in aula, e non portati a casa, e fuori lezione è lecito limitarsi a dire ciao ragazzi, senza obblighi di memoria.

Nessuna paura
I ragazzi hanno bisogno di essere aiutati ad affrontare quella che loro chiamano paura.

Paura di essere interrogati, di subire un controllo su compiti e obblighi, paura di verifiche improvvise, di ingiustizie, di accanimenti personali.

Spesso, la maggior parte degli studenti vive queste paure in senso fisico, il cuore sembra voler scoppiare e il respiro pare incontenibile.

Un buon insegnante sa spiegare loro che si tratta di attesa, di preparazione a qualcosa che ancora non è avvenuto, e non di paura.

Messa in questi termini, l'attesa diventa il terreno nel quale immaginare l'interrogazione, la prova, la verifica, come qualcosa di eccitante.

Per aiutare gli studenti a fare questa associazione, c'è bisogno di tutta l'attenzione possibile da parte dell'insegnante.

Ascoltare gli studenti, commentare con loro non solo la materia ma l'approccio stesso alla preparazione scolastica, condividere con tutti il giudizio sulla prestazione prima di passare alla prossima vittima, sono tutti sistemi per farsi poi ascoltare meglio dagli stessi studenti.

La ricerca della felicità
Non c'è niente di peggio che esternare cose del tipo ah, mi farete impazzire o ah, siete la mia disperazione.

Non solo per l'eccesso emotivo che queste uscite contengono, ma proprio per la logica: gli studenti non sono stupidi e qualcosa nel loro cervello gli dice che l'insegnante sta valicando i confini.

Il compito degli studenti non è rendere felice l'insegnante, ma fare di tutto per apprendere quanto insegna.

Il grado di apprendimento degli studenti è direttamente proporzionale al grado di congruenza dell'insegnante: se questi traspira da ogni poro della pelle il suo amore per la materia e la convinzione dell'essenzialità della stessa, allora gli studenti ne saranno risucchiati e vedranno l'insegnante come l'esempio vivente di qualcuno che ha una ragione per vivere.

Ed è di questo che hanno bisogno: non di una ragione per vivere mutuata da qualcun altro, ma di credere che sia essenziale impegnarsi per trovarla e difenderla.

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