Pagine

lunedì 23 aprile 2012

Mente e tecnologia: verso una nuova specie?

Se io dicessi che amo le cose naturali e che vedo nella tecnologia un potenziale pericolo evolutivo, cadrei in una contraddizione notevole.

Per dire quello che penso, infatti, sono il primo a servirmi di quella stessa tecnologia il cui lato oscuro trovo biasimevole.

Quando in Italia arrivarono i primi Commodore, ebbi la fortuna di vederne immediatamente gli esemplari perché mio padre comprese subito quanto gli sarebbero stati utili per il suo lavoro di contabile.

Da quel giorno degli anni ottanta, ho visto passare nella mia casa più computer di quanti possa ricordare, e le loro prestazioni rasentare la magia.

Per non parlare di quella specie di sarcofago che fu il primo telefonino (anzi, telefonone!) cellulare che sempre mio padre prese, stavolta senza la vera necessità.

Qui devo dire che sono stato più rapido di lui nell'impratichirmi e fui io a guidare i suoi successivi acquisti.

Oggi, in casa, ho due computer attivi, uno portatile, altri tre spenti perché più obsoleti ma comunque funzionanti, e due telefonini.

Ho puntato in maniera decisa sulla comunicazione digitale, anche per le mie professioni e per le mie passioni.

Eppure...


Eppure non posso fare a meno di notare nei ragazzi che osservo tutti i giorni per il mio lavoro le conseguenze del massiccio impiego tecnologico dei giorni nostri.

Risultati che tante ricerche scientifiche degli ultimi anni avevano annunciato e che, a prima vista, facevano sorridere e gridare all'esagerazione.

Nel 2008 si è affacciato l'allarme dell'attenzione parziale continuativa: il bombardamento d'informazione, il formato-flash di notizie e comunicati, e le costanti intrusioni di tutti i servizi di messaggeria informativa provocano continue interruzioni durante il lavoro e le attività quotidiane delle persone, scatenando sentimenti di frustrazione, nervosismo, stress e mancanza di elasticità.

L'anno dopo, arrivarono i primi studi su come l'esposizione al monitor del computer faccia funzionare il cervello alla stregua di quello di un bambino, attratto da strani rumorini e lucine fantasmagoriche, anche se hai cinquant'anni, con la fame costante per la gratificazione immediata e con la noia facile.

Nel 2010, ricercatori inglesi hanno prima identificato soggetti affetti dalla cosiddetta internet addiction, poi hanno sottoposto gli stessi soggetti al BDI (Beck Depression Inventory), rilevando una più alta incidenza di tendenze depressive rispetto a soggetti non dipendenti da internet.

Nel 2011, dalla Virginia, uno studio sui bambini che amano i cartoni animati molto animati registra una frequenza maggiore di sbagli nelle performances e una generale tendenza a infrangere le regole, rispetto a bambini che passano più tempo tra natura, giochi all'aperto e attività di gruppo.

Infine, proprio quest'anno sono emersi forti dubbi sull'utilità di ebook readers e GPS: i primi in realtà pare abbiano abbassato la media statistica di libri letti e i secondi starebbero riducendo al lumicino la nostra capacità di mappare in maniera astratta il nostro ambiente.

Si levano voci moralizzanti, persone che vorrebbero una sorta di lista di controindicazioni sulle confezioni di computer, cellulari e altre diavolerie elettroniche, un po' come le scritte sui pacchetti di sigarette: attenzione, nuoce gravemente ai tuoi neuroni, oppure il net surfing uccide te e chi ti sta intorno.

Sarebbe peggio del male che si vuole combattere.

Non è oscurando le nuove tecnologie che si risolve un passaggio storico così importante per l'umanità.

Telefoni, computer, tablet e quant'altro non sono un male in sé ma lo diventano se la nostra immersione incessante nella loro rete non viene adeguatamente bilanciata.

Sono in gioco la nostra capacità di prestare attenzione, di pensare con chiarezza, di essere creativi.

La nostra e soprattutto quella dei posteri.

Il tempo davanti ai display va alternato con altrettanto tempo davanti agli alberi, alle passeggiate, alle facce delle persone in carne e ossa, ai libri veri di carta, al pallone di cuoio e alla racchetta di carbonio.

Le informazioni non arrivano solo dal tg virtuale ma anche dai rumori della strada, dalla temperatura del vento, dalla conformazione delle nuvole o semplicemente dalla voce umana di qualcuno che ce le racconta da vicino.

Non un ritorno al primitivismo, a scapito di una evoluzione androide.

L'ideale è avere i pregi di entrambe le modalità e una mente ibrida, con un piede nel fango e un'antenna verso il cielo.

2 commenti:

  1. Sono d'accordo col tuo articolo.
    Effettivamente c'è, mi pare, un'evoluzione rapida, rapidissima, sul piano mentale, inteso come il mondo dell'informazione, del confronto "botta e risposta", dei giochini, dell'entertainment.
    Altro discorso è lo sviluppo della creatività, della comprensione profonda.
    Della parte, superiore, del Pensiero.
    E' chiaro, mi sembra, che ci troviamo di fronte a un'evoluzione dell'uomo.
    Però, probabilmente, dobbiamo fare attenzione a non perdere il contatto col "fisico" e con le emozioni che è in grado di riservare.
    Il corpo, insomma, non va abbandonato.
    Tu che dici?
    ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non posso che ribadire quanto già detto nel post: evolvere senza perdere nulla di quanto già acquisito.

      Elimina