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domenica 15 aprile 2012

Fobie: che cosa c'è sotto?

Quando si digita su Google la parola fobie si ottiene come secondo risultato - il primo è la voce di Wikipedia che è al primo posto perché è Wikipedia -  www.fobie.org, un vero e proprio dizionario di tutte le fobie, esistenti o ipotizzate, riscontrate o immaginabili.

Così, alla lettera h puoi trovare la hamartofobia che è la paura del peccato, alla k c'è la kakorrharphiofobia, per chi teme costantemente di fallire, la lettera q annovera la quetofobia che contraddistingue chi ha avversione per il pelo, alla x la xirofobia che fa evitare i rasoi dei barbieri e alla z la zeusofobia che è chiaramente paura degli dei.

Le lettere w e y sono vuote, anche se una welfarefobia e una youtubefobia non avrebbero sfigurato.


Di che cosa stiamo parlando?
Di quelle paure irrazionali che una persona può provare nei confronti di luoghi, situazioni, oggetti, esseri viventi e addirittura pensieri.

Paure così pervasive da essere invalidanti, perché spingeranno la persona che ne è abitata a evitare luoghi e situazioni, a scansare oggetti ed esseri viventi in particolare e a tormentarsi o a mettere in atto complessi rituali per scongiurare le immagini della sua stessa mente.

Al di là del calderone alfabetico di cui sopra, le fobie si possono categorizzare proprio in base al loro rapporto con il mondo esterno o alla risposta che ne deriva.

Chi soffre di agorafobia o claustrofobia identifica nella fonte del suo timore lo spazio, aperto o chiuso che sia mentre chi ha paura dello sporco o di un colore risponderà a questi pericoli lavandosi dieci volte le mani o passando la giornata con gli occhiali scuri calzati, configurandosi come un vero disturbo ossessivo-compulsivo.

L'associazione tra fobie da una parte e ansia e attacchi di panico dall'altra è giustificata, anche se non sono perfettamente sovrapponibili.

La cosiddetta fobia sociale, secondo alcuni approcci psicologici, coincide con una forma di disturbo d'ansia generalizzato, e gli attacchi di panico sono una risposta a uno stato fobico imprecisato.

Svelare il mistero
Proprio l'attacco di panico ci permette di capire un po' meglio il meccanismo.

In genere, esso arriva la prima volta senza preavviso e getta nello sgomento non solo per la forza con cui scuote chi lo prova, ma anche per l'inspiegabilità della sua manifestazione.

A questo punto, chi ha sofferto l'attacco che cosa fa?

Voi che cosa fareste?

Cercare la causa, è ovvio.

E poiché il nostro cervello quando cerca una causa la cerca sempre nelle vicinanze del fatto stesso, suggerirà che esiste una relazione tra ciò che stava intorno al soggetto nel momento dell'attacco e l'attacco stesso.

In realtà, l'attacco di panico è semplicemente una fuoriuscita di tensione in eccesso, "la goccia che fa traboccare il vaso", e si verifica in situazioni di tensione che potremmo definire normali, alle quali in qualche modo ci siamo abituati e che sappiamo governare.

Vi ricordo che un aereo mastodontico che vola non è una cosa normalissima anche se noi uomini tecnologici l'abbiamo fatto diventare come il divano di casa, ma quell'aggeggio sale a decine di migliaia di metri.

Potremmo ricordare a chi attraversa il tunnel della Manica o a chi semplicemente va in metropolitana l'eventualità di un terremoto che impedirebbe loro di cavarsela.

A ben vedere, anche andare a 110 all'ora genera tensione ma noi la riteniamo normale.

In queste situazioni di tensione normalizzata, il nostro organismo in realtà lavora per conservare un equilibrio.

Se però ci sono già altre tensioni in atto, relative alle relazioni significative o all'incombere di prestazioni sociali, o semplicemente se la persona ha subito già un colpo emotivo come un lutto o una perdita, allora quelle situazioni di tensione normalizzata possono far "traboccare il vaso" del suo equilibrio.

Per cui, arriva l'attacco di panico in metropolitana e la persona pensa di essere claustrofobico.

Che cosa succede davvero?
Tra i meccanismi di difesa più subdoli che l'Io è capace di utilizzare, ce n'è uno che fa al caso nostro: lo spostamento.

Poiché ogni meccanismo di difesa serve all'Io per evitare di fare i conti con sentimenti sgradevoli, con lo spostamento accade semplicemente che l'avversione verso una persona, una relazione o un contesto, che ci provocano tensione, viene spostata verso un altro oggetto, il primo che la mente trova comodo accusare.

In tutti i manuali di psicologia ricorre l'esempio della persona che vive una faticosa giornata di lavoro, piena di conflitti con i colleghi e i superiori, poi torna a casa e scarica la sua aggressività repressa su moglie e figli.

Perché questo benedetto impiegato non se la prende con chi gli sta intorno al lavoro?

Perché gli costerebbe troppo dolore e troppa paura mettere a rischio la sua situazione lavorativa, ossia la sua idea di sopravvivenza, quindi aspetta una valvola di sfogo più controllabile.

Allo stesso modo, le persone cosiddette fobiche stavano in realtà già reprimendo angoscia o avversione verso qualcuno o verso una relazione, e la stavano reprimendo perché rimetterla in discussione sembra loro un'impresa titanica nella quale potrebbero soccombere.

Naturalmente, questo vissuto le rende più vulnerabili agli stimoli esterni, soprattutto quelli disagevoli.

La tensione accumulata a quel punto viene fuori, perché per quella persona è più accettabile avere paura del cane di un passante piuttosto che della moglie o della propria insicurezza.

A venir fuori, esattamente, è l'Es, la parte inconscia, che l'Io cerca di tenere buona.

E l'Es, che è l'artista celato dentro di noi, si esprime in modo poetico, come accade nei sogni.

Che cos'è, in fondo, lo spostamento se non una metafora?

Magari, la persona che sviluppa una cosiddetta fobia per gli spazi angusti si sente veramente oppressa da una relazione insoddisfacente e la fobia è metafora di questa oppressione, mentre chi teme la folla o gli spazi aperti cela dentro di sé una grossa ferita al proprio senso di autoefficacia, per cui  il timore esporsi all'esterno è la metafora del timore di confrontarsi con l'ambiente.

Mai come nel caso delle fobie, i farmaci servono davvero solo a curare il sintomo.

Mai come nel caso delle fobie, l'eziologia è chiara e la strada per uscirne passa per la fiducia in sé stessi.

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