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domenica 10 maggio 2015

Comunicazione interpersonale: bada a come parli, ma soprattutto al perché

Quante volte hai visto su giornali, riviste, siti e social network la classica serie di consigli per migliorare qualcosa della tua vita?

E non parlo solo di aspetti pratici o materiali, come organizzare gli armadi o perdere peso.

Si tratta quasi sempre di liste o elenchi di dritte per aggiustare qualcosa che ha a che fare con la mente e il cuore, con i pensieri e le emozioni.

E tra tutti i temi uno dei cavalli di battaglia è la comunicazione.

Peccato che tra tutte le liste di consigli in circolazione proprio quelle per comunicare meglio funzionino peggio o per niente.

Infatti, anche se corredate da presunte evidenze scientifiche - che ovviamente sono sempre inattendibili perché parziali e di parte - si concentrano su ciò che diciamo e sull'ascolto di ciò che dicono gli altri.

In pratica, sulle parole o - quando ci va bene - sul processo che ci porta a formare le frasi da dire o per decodificare il messaggio altrui.

Messe così, queste dritte sono belle storte: infatti, il novanta per cento delle impressioni che influenzano il nostro stare in una relazione comunicativa sono determinate da fattori non verbali che si formano prima ancora che le parole dell'altro abbiano toccato l'area del nostro cervello adibita alla loro comprensione.

Cioè noi non ascoltiamo e quando lo facciamo siamo già sotto l'effetto di un pre-giudizio costruito quasi automaticamente dalle nostre percezioni.

Questa discrepanza si riverbera poi nello scambio di parole effettivo, in uscita e in entrata.

Trovi che l'altro abbia detto qualcosa di sciocco ma cerchi un modo di dirglielo senza urtare i suoi sentimenti, il che pone problemi di congruenza con i tuoi, di sentimenti, oltre che aprire la spinosa questione di quanto in quel momento sei disonesto e manipolativo evitando la piena verità.

Se poi sei tu a sentire che l'altra persona sta applicando una qualche tecnica per addolcire la pillola e hai la capacità di accorgertene, questo non ti rassicura, non ti fa sentire che l'altro sta avendo cura di te, anzi, ti senti psicanalizzato, messo a distanza, vivisezionato come una cavia da laboratorio, perché tu hai aperto verso una comunicazione senza difese mentre l'altro fa il dottor Freud di turno.

Se proprio siamo a caccia di consigli utili sulla comunicazione, dovremmo riflettere non tanto su come attuarla quanto sugli obiettivi perseguiti.


Quando parliamo con qualcuno, cerchiamo:

  1. di indurre l'altro a fare qualcosa nel modo che noi preferiamo: gli scambi comunicativi che perseguono quest'obiettivo possono essere leciti in una relazione, laddove il fare qualcosa ha un'utilità pratica necessaria e indiscussa; per sua natura, quindi, una comunicazione del genere tra pari non sarà mai totalizzante, perché presuppone la sottomissione di uno all'altro; quando dico sottomissione non intendo per forza l'essere succubi, ma anche l'essere dipendenti dall'altro, forse perché infermi o incapaci di fare qualcosa
  2. di esprimere noi stessi e sentirci ascoltati: esprimere noi stessi è qualcosa che si avvicina all'arte, perché come l'arte modifica la realtà rappresentata, così l'autoespressione amplifica o attenua ciò che abbiamo dentro; è esperienza comune il non riuscire a esprimere a parole in modo soddisfacente ciò che sentiamo; quando ci riusciamo, la mente classifica quel sentimento particolare nell'insieme di tutte le altre volte in cui abbiamo provato qualcosa di simile, e noi finiamo per parlare non più di ciò che sentiamo in quell'istante ma del senso che ha per noi sentirci così; quella dell'ascolto è una delle aree più a rischio, perché è difficile ascoltare senza apparire distanti, distaccati, razionali, mentre l'altro, che magari sta condividendo parti delicate di sé e si sente vulnerabile, nel cogliere in chi ascolta questa sorta di professionalità scimmiottata potrebbe non solo non sentirsi ascoltato ma persino allarmarsi
  3. di giustificare e spiegare i nostri sentimenti: è il caso in cui ci esprimiamo e vogliamo attenzione, come nel caso precedente, ma l'argomento è costituito dai sentimenti verso il nostro diretto interlocutore; e se i sentimenti in questione non sono positivi è difficile non sembrare accusatori; se è vero, come dicevamo più su, che parlare di sé amplifica o attenua la forza del sentimento provato, e che noi tendiamo a storicizzare ciò che proviamo, quando proveremo a parlare all'altro di qualcosa che non va con lei o lui, rischieremo di dirgliela in modo eccessivo o evitante, e soprattutto di far sembrare eterna la situazione; e l'altra persona non potrà che sentirsi impotente, e si allontanerà perché a nessuno piace sentirsi bloccati senza poter fare nulla
  4. di comunicare: un degno obiettivo, perseguibile a patto di non scambiare la comunicazione per un semplice passaggio di informazioni; qui si tratta di scambiare idee e prospettive; comprendere meglio il punto di vista altrui è possibile solo se ci dimentichiamo dei consigli sulla comunicazione, perché ci distraggono facendoci focalizzare su di noi e non sull'altro; non basta dire bene le cose all'altro, è necessario capire come l'altro le ha prese
  5. di entrare in contatto: l'obiettivo più alto è quello nel quale le parole cominciano a sfumare, perché gli stati emotivi si sintonizzano; tale sintonia non è per forza piacevole, si può essere sulla stessa lunghezza d'onda dell'altro mentre vive un'esperienza triste o dolorosa; mentre i primi tre obiettivi sono caratterizzati da uno stato reattivo, qui invece la reattività si approssima allo zero, ci si lascia attraversare dall'altro e lo si attraversa; arrivati a questo stadio, quasi tutti i tentativi di tradurre in parole ciò che si prova suoneranno artificiosi e non autentici; i fattori chiave sono l'interesse e la cura per l'altro, che passano attraverso le espressioni facciali, il corpo, il tono della voce
In tutta onestà, le circostanze della vita ci costringono spesso a rimanere, nelle nostre giornate, sui primi tre obiettivi, e questo si può anche accettare, se pensiamo a contesti formali, di lavoro e di scambio civile.

Le relazioni umane significative, invece, dovrebbero essere improntate soprattutto al quarto e al quinto obiettivo, e i partner dovrebbero fare lo sforzo - quello sì razionale - di non tentare nemmeno di comunicare se particolari emozioni e sentimenti li pongono in una condizione di reattività, altrimenti ogni scambio sembrerà ridursi a dare ordini, sfogarsi e sottolineare mancanze a vicenda.

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