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mercoledì 10 dicembre 2014

Linguaggio e verità: guida al traduttore simultaneo della nostra mente

Non si può pensare bene finché non si riconosce la più grande distrazione dal pensare bene: il bisogno di essere nel giusto.

Pensare bene vuol dire riconoscere sé stessi.

Corriamo sempre il rischio di piegarci verso le idee che ci fanno sentire bene, piuttosto che avventurarci nell'esplorazione di quelle idee  -a volte più vere - che ci mettono a disagio.

La verità si fa scorgere solo da occhi non offuscati dai desideri, soprattutto da quello di sentirsi bravi e perfetti.

Per evitare la distrazione verso l'autocompiacimento, dobbiamo prendere coscienza del vocabolario con il quale ci raccontiamo le nostre verità, tenendo ben presente quant'è ricco e carico il linguaggio.


Prendiamo quei termini o definizioni con cui diamo una sfumatura positiva o attenuiamo quella negativa a ciò di cui stiamo parlando, un po' come quando tra partners uno dei due chiede all'altro un periodo di pausa per riflettere, mentre vuole solo allontanarlo da sé.

Può accadere anche il contrario, tutte le volte che con il linguaggio accentuiamo il versante negativo del nostro argomento, per esempio dicendo a qualcuno - con intento accusatorio - che ci trascura invece di dire che preferisce concentrare la sua attenzione su qualcos'altro.

Le nostre conversazioni, le discussioni e persino il pensiero nel chiuso della nostra mente sono tutti discorsi capaci di degenerare se inquinati dagli stravolgimenti linguistici, positivi o negativi che siano.

C'è una terza possibilità: pulire con un linguaggio neutrale lo sporco delle forzature, lavando via i belletti o le nuvole che di volta in volta e a seconda di come ci fa comodo aggiungiamo alla ciccia dei nostri discorsi.

Questo ci permette di vedere veramente meglio le cose, di riflettere con limpidezza, grazie a un linguaggio neutro, che descrive la realtà meglio possibile, senza inclinarsi verso connotazioni negative o positive.

In realtà, la tendenza a fare più belle o più brutte le cose di cui parliamo è qualcosa di naturale e spontaneo, e difficilmente useremo un linguaggio neutrale in prima battuta.

Possiamo però fare molto dopo esserci espressi, cercando di distinguere il linguaggio positivo o negativo per neutralizzarlo, quel tanto che ci permetta poi di riportare il peso di ciò che stiamo dicendo o pensando a una misura più credibile.

Per esempio:

  • ostinato diventa deciso
  • autoritario diventa convinto di sé
  • smidollato diventa ragionevole


Poiché però non si può stare mai del tutto tranquilli nemmeno con le cautele, stiamo attenti anche al rischio di eccedere con la neutralità.

Così come a volte indoriamo o avveleniamo la pillola, a nostro uso e consumo possiamo anche indulgere verso di noi sfornando definizioni apparentemente equilibrate, che invece nascondono derive a volte preoccupanti.

Qualche esempio?

  • esigente può nascondere schizzinoso
  • impegnato può celare dipendente
  • fiducioso può voler dire accondiscendente


Insomma, le sfumature del linguaggio possono cancellarsi e annullarsi a vicenda, come due onde contrarie.

Quando il linguaggio descrive i comportamenti come coscienziosi e virtuosi, c'è sempre un contro-linguaggio capace di dipingere gli stessi comportamenti come bassi e viziosi.

Ed essendo questa una legge, è anche sempre vero il contrario.

Quante persone sono brave a neutralizzare il linguaggio negativo a loro diretto:

  • non sono falso, sono diplomatico
  • non sono egoista, faccio il mio bene


Siamo tutti però meno bravi a conservare lo stesso metro di giudizio, quando dobbiamo descrivere il nostro comportamento in relazione a un comportamento simile.

Entriamo e usciamo dalle parole, usando la porta che meglio fa al caso nostro:

  • io sono diplomatico, ma lui è falso
  • lui è un arrivista, io sono audace


Dovremmo tenere allenato il traduttore simultaneo nella nostra mente, per passare con rapidità dal positivo al negativo o al neutrale, non solo per i nostri scopi personali, ma per avvicinarci alla verità.

Peccato che il più delle volte questo significherà uscire dal comodo, fare i conti con la durezza della realtà, rinunciare per un po' a un senso di benessere dal quale - per quanto fittizio - non vogliamo scollarci.

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