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sabato 28 giugno 2014

Tutti pazzi per il selfie

Il titolo sembra ironico, ma non si sa fino a che punto, visto che l'American Psychiatric Association - responsabile dei DSM - è stata tacciata qualche tempo fa di aver classificato il selfismo come un disturbo mentale.

Così, tutti gli internettiani e ancor più gli smartphoniani - perché ormai si tratta di vere e proprie popolazioni distinte - sono stati attraversati da un brivido e si è vivamente sperato si trattasse di una bufala, cioè di una delle forme più diffuse di post che circolano sui social network.

Ed effettivamente, sul sito dell'APA non ci sono tracce di una simile classificazione, né si trova nulla effettuando una ricerca interna.

Che la notizia farlocca si sia diffusa tra i naviganti nel solito modo virale non sorprende, sia perché in genere gli utenti dei social si divertono a leggere le sedicenti notizie preparate da siti che, se solo si leggessero bene le avvertenze, dichiarano di poter pubblicare delle bugie, sia perché il selfie - che tutti criticano - è una pratica diffusa e amata.


Selfie è stata definita parola dell'anno del 2013, e la mania di autofotografarsi etichettata come forma di narcisismo.

Diffusa soprattutto tra i giovanissimi, la mania dell'autoscatto da pubblicare sui social network in realtà non risparmia neanche gli adulti.

Come fenomeno culturale, il selfie mette in luce un bisogno umano basilare, farsi notare, sentirsi apprezzati e riconosciuti, e ricevere qualche mi piace su Facebook ovviamente rinforza il comportamento, che così si reitera e contagia.

Il bisogno di riconoscimento e di apprezzamento è sempre al primo posto delle ricerche e dei sondaggi effettuati soprattutto presso popolazioni di lavoratori che hanno come prima necessità quella di essere visti dai propri superiori per il lavoro che fanno.

Dunque, il vero disturbo mentale è questo bisogno di riconoscimento?

Se si sposta l'analisi dal contesto lavorativo a quello relazionale, anche tra le coppie riappare questo stesso bisogno di apprezzamento, che i maschi esprimono dichiarando il fastidio per l'oppressione e la lamentela delle mogli, e le femmine accusando i mariti di non rispettare né considerare in modo positivo le loro opinioni.

C'è allora il desiderio tutto umano di essere apprezzati e riconosciuti, la frustrazione per la mancata soddisfazione di questo bisogno, la richiesta implicita o troppo esplicita di soddisfacimento attraverso il selfie, e il terrore di scoprire che questo comportamento non è sano.

Ce n'è abbastanza per capire come mai la bufala si sia diffusa così tanto.

Del resto, le notizie false di questa risma sono sempre attentamente studiate per colpire il cuore delle persone, i loro sentimenti e le loro paure, muovere i loro istinti e le loro pulsioni.

Ma il problema resta, e per risolverlo bisogna impegnarsi in tutti i contesti:

  • al lavoro, riconoscendo agli altri il merito di averci aiutati a raggiungere i nostri obiettivi e complimentandoci con coloro che svolgono bene la propria mansione
  • a casa, innanzitutto perché tendiamo a pensare che le persone più vicine a noi siano quelle che hanno meno bisogno di sentirsi apprezzate, con le quali invece dobbiamo cercare di comunicare in modo positivo
Del resto, anche online accade lo stesso, i nostri mi piace, i commenti ai messaggi degli altri, la partecipazione a una discussione generano sempre attenzione, riconoscimento e apprezzamento.

Possibile che i social adesso debbano insegnarci come vivere le relazioni faccia a faccia?

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