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lunedì 2 giugno 2014

Quale ricerca per quale equilibrio?



Essere virtuosi è apparentemente una bella cosa.

Eppure, le virtù - come i vizi e le spinte della vita - a volte confliggono, e non è così semplice seguirle, soprattutto quando alcune di esse sembrano sgomitare per avere l'esclusiva.

Vuoi essere libero, ma vuoi anche sentirti sicuro.

Vuoi libertà d'azione, ma anche giustizia.

Vuoi pensare a te ma vuoi avere compassione per gli altri.


Nella vita di un individuo, è nelle relazioni che questa inconciliabilità delle virtù si può manifestare maggiormente, quando la libertà di evolvere deve fare i conti col bisogno di sentirsi sicuri con qualcuno accanto, quando il calore di un sentimento duraturo si deve conciliare con la capacità di aprirsi a nuovi scambi.

Nel mondo del lavoro questo contrasto è ancora più evidente, ed è innegabile che non si può conciliare la necessità di una flessibilità reale con il bisogno di sapere che comunque avremo del lavoro da svolgere e non resteremo a piedi.

Anche il mondo politico manifesta lo stesso fenomeno, e le spinte emerse attorno alle recenti elezioni di ambito europeo lo dimostrano, con i difensori dell'UE che dovrebbe garantire una maggiore stabilità e prevedibilità e gli anti-europeisti che invece si lancerebbero più volentieri in solitaria.

Un vecchio proverbio dice che l'erba del vicino è sempre più verde, e forse il contrasto tra due cose buone si acuisce per l'atavica incapacità di accontentarci e l'irrefrenabile spinta a cercare ciò che non abbiamo.

Esiste davvero l'equilibrio che più volte viene evocato nei nostri discorsi, superficiali o profondi che siano?

Le metafore fisiche ci aiutano poco, dalla bicicletta, all'amaca, fino all'artista che cammina sul filo.

Gli scienziati ci dicono che si tratta in realtà di un equilibrio apparente, fatto di continui micro-aggiustamenti.

Ma il problema con gli esempi dal mondo dei corpi e dei pesi è che non riflettono il meccanismo emotivo che invece ci muove durante la vita.

C'è piuttosto una sequenza, che parte da questo grande interesse nel cercare e trovare un equilibrio, poi nello sforzarsi di mantenerlo, come bravi equilibristi, consapevoli dei lievi ondeggiamenti, solo che col tempo lo sforzo viene meno, la tenacia si svuota, ci sentiamo stanchi di questa continua tensione per non stare in tensione e, come l'uomo sul filo, ogni tanto preferiamo abbandonarci a una liberatoria caduta nella rete di sicurezza, esclamando basta, da oggi voglio esaltare la mia libertà, oppure con la libertà senza senso ho chiuso, devo valorizzare le cose che già ho.

Naturalmente, cadere nell'una o nell'altra direzione e restarci equivale a essere estremisti.

Però, quello che a noi dall'esterno sembra estremismo, cioè cadere pigramente nell'uno o nell'altro baratro ai lati dello sforzo di tenersi in equilibrio, dal punto di vista personale di chi ci cade sembra sempre una conquista, destinata a durare, e che ovviamente il tempo dimostrerà essere precaria.

Forse non si tratta di trovare la vera forma di libertà individuale.

Forse nemmeno di scoprire come essere interamente compassionevoli.

Per non parlare dell'assurdità di cercare un vero equilibrio tra le due cose come risposta.

Lo sforzo sta nel vivere l'alternativa come una domanda: quando essere decisi e mantenere una posizione, e quando invece essere aperti al cambiamento?

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