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domenica 27 ottobre 2013

Ivan Pavlov, aiutaci tu

Se non ci fosse il computer non saremmo qui, né io a scrivere, né tu a leggere.

Ovvio?

Può essere, ma ciò non toglie che entrambi stiamo facendo - in tempi diversi - qualcosa che molto probabilmente non avremmo fatto in passato, quando il mezzo in questione era assente.

Non è vero che io mi sarei inventato un altro modo per divulgare la psicologia come faccio qui, così come non è altrettanto vero che tu avresti cercato notizie in merito su altri mezzi di comunicazione.

Non c'è alcuna invenzione umana che in realtà non sia frutto di un caso, di una scoperta fortuita o di una ricerca sbagliata.

La stessa scrittura nasce per elencare le merci, poi, una volta compreso che due segni diversi incisi sulla pietra potevano corrispondere a due entità diverse, si è capito che incidere segni poteva diventare in sé stesso un linguaggio, a prescindere dal contenuto dei messaggi.

Che cosa c'entra con Pavlov?

E soprattutto, chi è Pavlov?


Ivan Pavlov è quel fisiologo - del quale ho parlato qui -  che condizionò un cane ad avere l'acquolina in bocca al suono di una campana, dopo avergliela fatta ascoltare per giorni e giorni prima di dargli il cibo.

Dopo tutto quel tempo, appena la campana tintinnava, il cane immediatamente si preparava a ricevere la pappa.

Per la cronaca, l'apparizione del cibo si chiama stimolo incondizionato, e genere la fame, ossia la risposta incondizionata.

Quando la campana è capace di provocare la reazione nel cane, il suo suono diventa lo stimolo condizionato, e la reazione del cane a sua volta è una risposta condizionata, talmente condizionata che avviene anche se poi la pappa non gliela diamo.

In realtà, anche se la storia del comportamentismo ha preso poi altre strade, si fece presto a capire che lo stimolo condizionato non si limita a generare una risposta condizionata, ma diventa esso stesso la ricompensa cercata dal soggetto.

Tutti i comportamenti che rientrano nel vasto campo delle dipendenze sono la dimostrazione di questa tesi.

La partita si gioca tutta sul trasferimento del valore di stimolo tra quello incondizionato e quello condizionato, che in realtà all'inizio sarebbe al massimo un mezzo per arrivarci.

Che cosa succede oggi con internet, i social media, gli smartphone e tutto il resto?

C'è uno stimolo incondizionato, cioè naturale o quasi, che è il riconoscimento sociale.

Questo stimolo provoca naturalmente in noi una risposta incondizionata di possesso: noi vorremmo quel riconoscimento.

Se l'otteniamo, abbiamo la nostra bella ricompensa.

Il punto è che prima di accedere allo stimolo incondizionato, cioè la possibilità di avere quel riconoscimento, noi rispondiamo a un segnale, costituito da quel sistema che va dal nostro mezzo tecnologico all'ambiente virtuale al quale ci conduce - vuoi un blog sul quale scrivere-leggere-commentare, vuoi una piattaforma di scambio - che diventa stimolo condizionato, talmente condizionato che periodicamente andiamo a controllare se su quel blog o su quella piattaforma c'è qualcosa per noi.

E non serve a nulla accedervi decine di volte senza trovare alcun ché, ci accederemo imperterriti per l'undicesima, la dodicesima e l'infinitesima volta, perché ormai è diventato uno stimolo incentivante, una motivazione in sé stessa.

Quello che l'esperimento di Pavlov non dice apertamente - almeno nel modo in cui di solito è divulgato - è che è  vero che il cane o l'uomo, col tempo, mangiano perché suona la campanella o s'è fatta 'na certa, ma è pur vero che se hanno mangiato troppo nel pasto precedente, quella campanella difficilmente funzionerà.

Invece, un certo tipo di stimoli condizionati sembrano durare molto di più di altri, e le notifiche di messaggi via internet fanno parte di questa categoria.

Senza arrivare allo smartphone, già quando fu introdotta la segreteria telefonica, a pensarci bene, avremmo potuto accorgerci del trucco: io chiamo qualcuno, non lo trovo, sento una voce registrata che mi invita a lasciare un messaggio e io lo faccio.

Da un punto di vista strettamente logico, come operazione cognitiva, non ha alcun senso, a meno che io non abbia un messaggio preciso da trasmettere, un dato, un'informazione essenziale a colui che ho chiamato.

Ma lasciargli un messaggio per dirgli che volevo parlargli e che probabilmente lo farò in un altro momento - se lo farò - è la quintessenza dell'inutilità.

Eppure, la voce della segreteria, sovrapponendosi alla ricompensa che non c'è - dato che dall'altro capo del telefono non c'è nessuno - si fa essa stessa stimolo a qualcosa che non avrei fatto.

Il solo fatto di avere in borsa o in tasca lo smartphone, di fatto, induce le persone a controllarne le notifiche molto più spesso di quanto vadano a svuotare la cassetta della posta fuori casa.

E questo controllo avviene in modo sempre più compulsivo, quasi fuori dalla nostra consapevolezza.

Il cane di Pavlov era ossessionato da quella campanella, così come oggi puoi vedere in giro persone che stringono nella mano la loro diavoleria elettronica come se tenessero il palmo di un bambino piccolo del quale prendersi cura.

Se Pavlov è riuscito a generare questo strano fenomeno, è perché il cane ha bisogno di cibo.

Se a noi sta accadendo questo, è perché la comunicazione multimediale ci sta dando qualcosa di cui non possiamo fare a meno: il riconoscimento reciproco.

Talmente importante per noi, da essere disposti a ottenerlo attraverso un display in forma scritta, invece di rischiare di incontrarci faccia  a faccia.

Ivan Pavlov, aiutaci tu!

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