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sabato 16 novembre 2013

La trappola del disturbo oppositivo provocatorio

Quanto è dura oggi la vita dei ragazzi arrabbiati o infelici.

Ai primi si dice subito che devono imparare a gestire correttamente il loro sentimento, a leggere le situazioni nelle quali lo provano, a elaborare, procrastinare e altre formule magiche.

Ai secondi va anche peggio, perché subito il marchio di una presunta depressione incombe su di loro, e mentre le presunte depressioni scompaiono, i marchi sono più duri a svanire.

Sembra che le istituzioni educative oggi spendano tantissimo tempo a medicalizzare gli adolescenti, come se crescere fosse di per sé una potenziale malattia, come se la rabbia fosse agli antipodi della salute, come se l'infelicità fosse una disgrazia, e proprio in questa fase dello sviluppo, che di occasioni per arrabbiarsi o intristirsi ne offre a iosa.

Una delle etichette diagnostiche che ho incontrato frequentemente in questi anni, e che maggiormente mi hanno lasciato perplesso è il disturbo oppositivo provocatorio.

Se un giovane ha appena avuto uno scontro con i propri genitori e gliene ha dette quattro, ecco un pronto candidato al disturbo in questione.

In verità, nella mia esperienza sono veramente pochi i ragazzi immuni dal disturbo oppositivo provocatorio, e c'è da esserne tacitamente contenti.

In ogni opposizione e provocazione c'è sempre il lato positivo e virtuoso: questi ragazzi sfidano lo status quo, si indignano di fronte al danno ricevuto, sono in disaccordo con i propri insegnanti, mettono a rischio il loro rapporto con i rassicuranti genitori attraverso furiose litigate.

E tutto questo, nella stragrande maggioranza dei casi, perché tutto ciò per cui si oppongono o provocano sta a loro molto a cuore, perché stanno testando la propria forza, perché stanno tentando di separarsi dagli adulti di riferimento per conquistare una maggiore indipendenza.

Il viaggio attraverso l'adolescenza è lungo e accidentato: non c'è alcun modo di evitare ogni difficoltà.

Ma rivolgersi agli esperti della psiche per ogni manifestazione di rabbia o infelicità, piuttosto che provare ad ascoltare e comprendere i ragazzi in questione, li trasforma inevitabilmente in malati.

I giovani che provano, pensano, dicono o fanno cose diverse da quelle che gli adulti si aspetterebbero - vuoi con la rabbia e vuoi con l'infelicità - non ci piacciono, questa è la verità.

Nel migliore dei casi, ci preoccupano da morire, instillando in noi lancinanti sensi di colpa.

Nel peggiore dei casi, fanno scattare una contro-reazione alla loro stessa rabbia o tristezza, per cui portarli dal dottore è un modo per spaventarli, farli vergognare o vendicarci per aver osato opporsi alla nostra autorità con la rabbia, e al nostro desiderio di essere decisivi per loro con la tristezza.

E povero il dottore, che si trova a trattare quasi sempre la punta dell'iceberg, rappresentata dal sentimento del giovane, e che può solo ipotizzare brucianti questioni di famiglia che mai gli saranno rivelate: litigi tra i genitori, problemi con il lavoro, la vita che in silenzio ma inesorabile cambia e perde il suo splendore ogni giorno che passa, per dei genitori quarantenni.

Però il dottore deve fare molta attenzione, perché in pochissimi casi potrebbe davvero avere davanti un giovane a rischio depressione o con emergenti problemi psichiatrici.

E qui deve giocare, come in una scommessa.

Rimandare per un altro incontro di là da venire?

Inviare il giovane a uno specialista di qualcosa?

A questo punto, il giovane di turno - anche se non lo dice apertamente - mostra di essere il più saggio, chiedendosi ma sono normale o davvero c'è qualcosa che non va in me?

All'esperto toccherebbe rispondere.

Ma spesso il principale compito degli esperti è assicurarsi che ogni cosa funzioni in modo tale da conservare la loro condizione di esperti.

Una delle fondamentali strategie per ottenere questo risultato in campo neuropsichiatrico è la medicalizzazione dell'esperienza umana, che si attua confondendo chi consulta l'esperto con un gergo impressionante - disturbo oppositivo provocatorio - , e con altre miriadi di definizioni che qualificano in qualche modo il giovane, e soprattutto tentano di togliergli ogni potere.

Ciò che maggiormente favorisce il cambiamento nell'essere umano, a ogni età, è la fondamentale esperienza del sentirsi compreso, e ognuno di noi può favorirla, accettando quella persona con il suo sentimento.

Non farti intrappolare, e usa la tua innata capacità terapeutica, cercando di comprendere i sentimenti dei giovani, prima di considerarli malati.

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