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sabato 13 luglio 2013

Responsabilità genitoriale, civiltà ed evoluzione

Freschissima è arrivata la notizia dell'equiparazione tra figli legittimi e figli naturali, con la sparizione degli aggettivi in questione, l'assunzione dello status di figlio nato da matrimonio per le adozioni minorili e la sostituzione della potestà con la responsabilità.

Il presidente del consiglio definisce ovviamente l'evento come grande segno di civiltà.

A me invece interessano le implicazioni morali, soprattutto in rapporto alla riproduzione sessuale, al modo in cui la cultura ha cercato di regolarla e alle conseguenze.

Che la morale, soprattutto in occidente nella sua versione religiosa, si sia occupata soprattutto dei comportamenti sessuali degli esseri umani non è una novità.

In realtà le regole morali circa la sessualità non mancano nemmeno a oriente, nella cultura islamica e in gran parte dell'Asia, con restrizioni nettamente più decise rispetto a quelle del mondo europeo e americano.

La stessa evoluzione umana è legata a filo doppio con lo sviluppo della morale sessuale, su questioni come la poligamia, l'omosessualità, l'incesto, che originano da questioni biologiche e culturali differenti.

In generale, la regola delle regole circa le abitudini sessuali, che si ritrova un po' dovunque, sia in ambito laico che religioso, è il divieto o lo scoraggiamento della promiscuità.

È evidente che questa regola concerne soprattutto l'evento della riproduzione e il ruolo giocato dal maschio, visto che mater semper certa est, pater numquam.

Contrastare la promiscuità ha significato e significa incoraggiare la paternità certa e l'impegno dei padri nell'accettarla e interpretarla.

Avere figli all'interno del matrimonio dovrebbe implicare la certezza della paternità e quindi la disponibilità del maschio a farsi carico del benessere e della crescita dei figli.

Si tratta di un nodo cruciale per la sopravvivenza della specie e delle società, poiché nelle culture caratterizzate da paternità certa e bassa promiscuità le risorse dei padri tendono a passare ai figli delle proprie compagne, mentre nelle culture in cui la promiscuità è alta o esasperata, e i figli sono delle madri - come in Nuova Guinea - le risorse dei maschi di solito, prima di essere distribuite a tutta la comunità, vengono in prevalenza assegnate ai figli delle sorelle degli stessi maschi, conservando comunque una successione di tipo parentale.

Non è detto che, in assenza di paternità certa, un maschio non voglia assolutamente prendere in carico un figlio forse suo o forse no, però c'è senz'altro una correlazione graduale tra i due aspetti.

In certe situazioni - diffusissime, poco pubblicizzate e usate a volte come spunti narrativi e cinematografici - la promiscuità e la disponibilità dei padri a prendersi comunque cura dei figli diventano un vantaggio per le femmine, nel ricevere più risorse.

La morale sessuale dunque cerca di rinforzare e proteggere la certezza della paternità non solo opponendosi alla promiscuità reale, ma anche ai suoi correlati come lussuria, pornografia, sesso senza riproduzione, sesso prima e al di fuori del matrimonio, aborto e persino attività ricreative eccitanti.

Ovviamente nel nostro paese il maggior promotore di questo tipo di controllo morale è la Chiesa Cattolica, espressione di una cultura che ha dominato lo stivale italiano per secoli e che quindi è ancora ben radicata.

La responsabilità del padre verso la cura del figlio - elemento fondamentale della nuova legge - non riguarda ovviamente solo loro due, ma influenza in maniera diretta il benessere della madre e di altre figure parentali.

Se la certezza della paternità può incentivare i padri ad assumersela, tutti ci guadagnano, persino la società, visto che i figli senza padre - che la stessa morale non vuole siano svantaggiati - comportano dei costi aggiuntivi per tenere in vita istituzioni che se ne occupino.

Se dunque questo impianto morale ha come obiettivo far sentire i padri sicuri del legame biologico con i figli affinché essi investano in termini economici nei figli e nei parenti, l'evoluzione alla quale abbiamo assistito soprattutto nel ventesimo secolo è stata determinata dall'indipendenza della donna, dall'accrescimento del suo potere economico e sociale, insomma dalla minore necessità di pensare ai padri come unica risorsa.

L'equiparazione dei figli - legittimi, naturali e adottivi - non è prodotto della morale, ma sicuramente anch'essa influenzata da fattori socio-economici, sia perché i figli nati fuori dai matrimoni sono in numero considerevole, sia perché la bassa natalità rappresenta un dramma per il futuro.

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