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lunedì 22 luglio 2013

Parlare di razzismo si può

Hunc perminxerunt calones, racconta Orazio a proposito di un adultero colto in flagrante.

La battutaccia sulla punizione corporale inflitta da energumeni probabilmente di altra etnia - come probabilmente i servi cui fa riferimento il poeta romano - insomma è piuttosto arcaica, e Angelo Romano Garbin con la sua uscita contro Dolores Valandro ne ha soltanto prolungato la sopravvivenza.

Singolare che proprio la Valandro fosse ricorsa, contro il ministro Kyenge, a un esempio di violenza sessuale.

Questo battibecco pessimo diventa qualcosa di ancor più tremendo per l'intermezzo di Calderoli, improvvisatosi comico neodarwiniano, a disegnare un clima per nulla sereno in Italia, circa la questione razzismo.

Da un punto di vista politico e morale, la partita si gioca sul contesto: le battute su incontri sessuali rischiosi o sulle somiglianze tra uomini e animali non fanno di chi le dice automaticamente un razzista - poi c'è chi le fa sempre e allora il sospetto cresce - ma la cosa grave è che tutti e tre hanno fatto il proprio show mentre vestivano ufficialmente i panni di rappresentanti delle istituzioni, per questo le destituzioni e le espulsioni - solo richieste o anche attuate - sono legittime e doverose.

Tuttavia, questo tipo di frasi e, come queste, molti pensieri, concetti, categorie e processi di lettura della realtà sono condizionati da qualcosa che ha molto a che fare con la razza.


Razza è una parola che inutilmente la scienza ha dimostrato infondata, perché è il tentativo di identificare differenze che non si possono negare.

Nessuno di noi è immune da scelte e comportamenti che si potrebbero classificare come razzisti, anche se noi non pensiamo lo siano.

La razza è tutta intorno a noi, anche se non la vediamo.

Essere meno razzisti o non esserlo per niente finisce per implicare uno sforzo razionale e deliberato della volontà.

Ci vuole attenzione.

L'ambiente, la storia, il linguaggio, la psicologia, la politica e tanti altri ambiti sono pregni di domande e questioni relative alla razza e al razzismo.

Io sono un appassionato di cucina e come tale vivo costantemente un esempio di tentazione razzista.

Che cosa s'intende per cibo o cucina etnica?

Perché gli spaghetti al pomodoro o i tortellini in brodo non lo sono?

Perché i supermercati che frequento hanno la corsia di prodotti etnici?

Perché il riso basmati non sta nello scaffale del carnaroli, e la soia disidratata insieme ai legumi secchi?

Perché il supermercato riproduce questo modello di società con un piccolo angolo di segregazione razziale?

Si tratta ovviamente di un semplice criterio di organizzazione della merce, senza nessuna intenzione di dire questo è cibo per persone con la pelle di un altro colore oppure questo riso/questa soia sono per immigrati orientali.

Però il bisogno di differenziare c'è, e non so quanto sia dettato da fattori contingenti.

Si potrebbe pensare che, conoscendo il mercato e sapendo che la domanda di quei prodotti è limitata, la destinazione appartata favorisce sia chi la corsia la deve organizzare sia i clienti, che così vanno a colpo sicuro.

Mi chiedo però se nasca prima l'uovo o la gallina: la domanda è limitata e quindi si crea un piccolo scaffale apposito, o c'è un piccolo scaffale apposito per cui la domanda resta sempre limitata?

Parlare di razza e razzismo non è facile perché il tema si insinua a ogni livello della nostra società, e non bastano le diatribe delle alte sfere, propinate dai mezzi di comunicazione.

Dobbiamo capire bene di che cosa stiamo parlando, prima di addentrarci in qualunque discussione in merito.

Sebbene sia stato stabilito da tempo che la razza non è una categoria biologica e che non è un concetto stabile nel tempo, ciò non toglie che la razza sia qualcosa di reale, che tocchiamo ogni giorno, una realtà che si contestualizza nella società e nel periodo storico relativo, cambiando nel corso degli anni.

Il termine stesso, razza, è quasi indefinibile: non è una questione di pelle, di acconciature, di gruppo sanguigno, di geni, di prestazioni fisiche, di ascendenza...

Tutti questi fattori falliscono in modo miserabile nel tentare di definire la razza.

Però noi continuiamo a usare e a pensare a questi fattori, usandoli da soli o in coppia, di volta in volta, come se fossero sufficienti e univoci.

Per uscire dal razzismo, il primo importante passo è capire che cosa sia esattamente per tutti noi la razza.

Purtroppo, l'unico modo per compiere questo passo è parlarne, ma questo sembra uno spauracchio tremendo.

Solo a sentire la prima sillaba raz subito si drizzano le antenne di quelli dall'indignazione facile.

Per paura di scatenare reazioni allora si rischia l'estremo opposto, la cecità verso la differenza, che dal punto di vista dei diversi è ancora peggio.

Il vocabolario col quale si definiscono i gruppi di diversa provenienza porta con sé delle aberrazioni.

Quando si dice nero, bianco, asiatico, slavo e così via, spesso si intendono questi termini come:
  • categorie biologiche
  • classi designate dalle stesse caratteristiche
  • categorie sempre valide
  • raggruppamenti geneticamente determinati
Ebbene, queste quattro implicazioni sono delle fesserie, così come l'idea che ci siano state delle diramazioni del genere umano che hanno dato vita a rami differenti.

In fondo, il razzismo prende piede proprio da questa idea sbagliata.

Non esiste e non può esistere nessuna ragione biologica né alcuna caratteristica geneticamente prodotta a differenziare questi raggruppamenti.

Se la questione della razza biologica fosse reale, allora essa interesserebbe l'umanità in modo molto più esteso e storicizzato.

Invece, la maggior parte degli episodi classificabili come razzismo vanno a toccare sempre alcuni dei tanti gruppi suddivisi etnicamente e mai altri.

Quella del razzismo è una questione prettamente sociologica e psicologica, e persino la politica non può realmente contribuire a risolverla.

I motivi che spingono gruppi più o meno organizzati e rappresentanti di questi gruppi a prendere posizioni razziste si possono riassumere così:

  • rafforzamento dell'autostima: sembra assurdo, ma la percezione di una minaccia alla propria autostima può istigare all'attacco cieco, e il razzismo fornisce occasioni facili per questo meccanismo
  • voglia di distinguersi: appartenere a un gruppo e percepirlo come un gruppo significativo è qualcosa che funziona solo se gli altri gruppi sono meno importanti del proprio; è quasi automatico guardare dall'alto verso il basso qualcuno che appartiene segnatamente a un gruppo diverso
  • bisogno di certezze: ci sono persone per le quali ogni piccolo cambiamento nel mondo è fonte di ansie spropositate; esse desidererebbero una visione definitiva e univoca di ciò che accade; la presenza del diverso è fonte di minaccia, e l'uso del pregiudizio risponde al bisogno di avere le idee chiare
  • istinto di sopravvivenza: sebbene sia una ricostruzione a posteriori, per molti studiosi il razzismo non sarebbe altro che l'equivalente della competizione tra gruppi umani per un numero limitato di risorse; quasi tutti gli slogan della Lega Nord si rifanno a questo principio, quando per esempio affermano un diritto di prelazione degli italiani sugli stranieri nell'accesso al lavoro
  • desiderio di dominio: bisogna prendere atto che la storia umana è sempre stata segnata dall'organizzazione gerarchica delle varie civiltà alternatesi nel mondo; naturalmente, molti uomini importanti hanno contribuito a inventare sistemi per scardinare l'immobilismo sociale e permettere la scalata della gerarchia anche a coloro che partivano dal basso; altrettanto vero che i detentori dei piani alti hanno sempre cercato di opporsi a questa mobilità, con posizioni conservatrici e reazionarie, e il razzismo in questo senso è solo uno dei tanti modi per conservare lo status quo e affossare le minoranze
Un aspetto da sottolineare - nel quale si cela il vero punto di partenza per costruire un ambiente con meno razzismo - è che l'essere umano si comporta diversamente a seconda che rivesta il ruolo di membro di un gruppo o di individuo.

Nel caso del razzismo, si sono registrati episodi di grande tolleranza e addirittura favoreggiamento di una minoranza da parte di membri di gruppi protagonisti di vessazioni, come accaduto a diversi esponenti delle forze naziste responsabili dei prigionieri dei campi.

Quando due persone possono parlare tra loro e scoprire chi sono veramente, il pregiudizio fa fatica a resistere e la verità tende a prendere il sopravvento.

Nella dimensione individuale, da sempre, c'è la chiave per cancellare il razzismo dalla faccia della terra.

Solo la responsabilità del singolo ha questo grande potere: te la senti di assumertela?

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