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venerdì 12 febbraio 2010

Genitori e adolescenti: tre veleni e tre antidoti


Io crescerò
I romani la sapevano lunga nel definire adolescentem il ragazzo e la ragazza che inizia a crescere.

Una parola vaga per un processo che si sviluppa nel tempo, difficile da definire una volta e per tutte.

Durante quell'età lì nulla è dato per certo e l'incertezza gioca brutti scherzi alla tranquillità personale.

Genitori e adolescenti vivono questa lunga fase in modo a volte burrascoso, i primi lamentando la difficoltà di decifrare questo essere che cambia ai limiti dell'irriconoscibile, e i secondi soffrendo per la semplice convivenza con i familiari, vissuta come una insopportabile ingerenza.

Sebbene io non creda si debba per forza dare ragione all'una o all'altra parte di questa complicata relazione, penso che i genitori in quanto adulti dovrebbero avere le risorse per governare il rapporto, aiutando i figli in crescita a restare in partita.

Ma i genitori hanno i loro grattacapi, con questi fenomeni in cambiamento: non li riconoscono, non riescono a interpretare le espressioni facciali, le inflessioni vocali, le intenzioni, le emozioni, davanti a ragazzi e ragazze che usano codici del tutto incomprensibili per loro.

Dal canto loro, i giovani criticano i genitori per la loro contraddittorietà, ora sono eccessivamente normativi, ora si sperticano in effusioni e dimostrazioni di affetto inspiegate, sembrano non avere sicurezza, sono ingiusti, distratti e spesso predicano male razzolando peggio.

Nessuna meraviglia se il dialogo genitori-figli si trasforma spesso in un'aspra battaglia sul campo dell'incomunicabilità.

Non credo che i ragazzi siano abbastanza consapevoli da osservare dall'esterno la relazione con i genitori e introdurre i necessari cambiamenti per farla funzionare.

Sicuramente la loro impulsività può farli esprimere in modo eccessivo per i genitori, ma la maggiore consapevolezza di papà e mamma è la chiave per risolvere il problema.

Cosa "avvelena" la relazione genitori-figli?


Primo veleno: le domande
Il bambino è "programmato" per conservare una fusione con i genitori, sono il suo "nido, egli ama e desidera di continuo essere avvolto da loro.

Ma l'adolescente è "programmato" per l'esatto contrario: inizia a formare un suo spazio, intimo, privato, che per il suo grossolano giudizio dovrebbe essere anche inviolabile, per cui ogni domanda gli sembra un attacco sferrato al suo fortino.

Primo antidoto: racconto di me ai miei figli?
Il genitore che si ponesse questa domanda comprenderebbe in un attimo cosa provano i suoi figli quando si difendono dalle sue domande curiose.

L'adulto ha diritto, anzi, ha bisogno di una dimensione privata da proteggere, e i figli adolescenti stanno proprio costruendo quella.

Solo con l'esempio possiamo insegnare ai ragazzi che parlare di sé può essere un'esperienza di ricchezza reciproca e non una confessione unilaterale.

Secondo veleno: negoziare
L'adolescente sperimenta la sua crescita continua imparando a usare l'arma più potente degli esseri umani, il linguaggio.

Così, di fronte a richieste, consigli, ammonimenti genitoriali i ragazzi si lanciano in ardite ridefinizioni delle parole usate, dei significati da attribuire, della distribuzione corretta del potere tra genitori e figli.

Secondo antidoto: in che cosa credo veramente?
Se i genitori accettano il gioco della negoziazione dei significati mettono a rischio il loro ruolo per la crescita dei figli, non perché la negoziazione in sé sia un rischio ma perché qualsiasi cambiamento di idee dei genitori viene interpretato dai ragazzi come incoerenza, insicurezza e quindi incapacità.

Soprattutto quando le idee da negoziare sono i valori.

I ragazzi desiderano cogliere in fallo i genitori: essi sono programmati per "scalzarli" diventando migliori, ma se possono coglierne i limiti, superarli sarà più facile.

I genitori stabiliscano quando e quanto essere normativi e affettivi e tengano fede ai loro principi.

Ancora una volta, diano il buon esempio.

Terzo veleno: spiegare
Spesso le relazioni diventano scontri per il potere: non basta vincere, vogliamo la resa totale dell'altro.

Anche tra genitori e figli - come tra docenti e studenti - si può assistere a questo "avvelenamento": il giovane ha appena subito un diniego, oppure ha acconsentito a seguire le indicazioni dell'adulto e l'adulto che fa? Si mette a spiegargli perché è giusto che sia così, perché il giovane ha fatto bene a obbedire, quali pericoli si sono evitati facendo come dice l'adulto ecc.

Insomma, il classico girare il coltello nella piaga.

Terzo antidoto: qual è il tuo obiettivo?
Chiedere ai ragazzi di essere ascoltati significa volere l'attenzione: questo è un obiettivo.

Usare l'attenzione ottenuta per "spiegare" le nostre ragioni e affermare la nostra superiorità è un altro obiettivo, diverso da quello iniziale.

Perciò, quando i figli hanno detto , va bene, farò come vuoi ecc. bisogna passare oltre.

Ma la tentazione di "salire sul podio per celebrare la vittoria" è forte, così il genitore si lancia in ardite spiegazioni sul perché è giusto che egli vinca.

Così non fa che esacerbare l'animo dei figli.

L'effetto è che il giovane si sentirà, oltre che vessato, ingannato perché ha acconsentito alla richiesta del genitore ma scopre che in realtà voleva acquisire sicurezza esercitando la sua autorità.

Il motto dovrebbe essere: autorevoli, non autoritari.

E dopo che ha detto , nessuna ramanzina.

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