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venerdì 27 dicembre 2013

Facebook? Usa il cervello!

In questo bellissimo film indipendente, Noah, il protagonista perde il controllo della sua giovane e già instabile vita, per un uso spericolato di Facebook.

Non solo chiacchiera virtualmente con la sua ragazza avendo contemporaneamente molteplici interazioni con altri software e applicazioni, ma addirittura entra nel suo profilo, si infastidisce per alcuni commenti lasciati dagli amici della ragazza, finisce per farsi scoprire e lo ritroviamo mesi dopo solo e quasi imprigionato in quella stessa virtualità che, con pochi clic, ha cancellato parte della sua vita.

Certo, il film è potente perché illustra a livelli estremi l'influenza dei social media, ma quest'influenza c'è ed è innegabile.

Dire che Facebook ha fatto letteralmente impazzire il mondo oggi è quasi banale.

Basti pensare che le stime indicano una media mensile di utenti che ammonta a quasi un miliardo di persone.

Non sono mancati e continueranno a non mancare i denigratori, gli oppositori, coloro che auspicano un ritorno al silenzio mediatico.

Ma le voci contro non possono cancellare il fatto che Facebook - e tutti i social media affini - sembra fatto apposta per il nostro cervello, e per questo funziona così bene.


Quasi tutte le azioni eseguibili e sperimentabili su Facebook infatti provocano il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore connesso alle sensazioni piacevoli.

Il rilascio di dopamina avviene quando assaggiamo un cibo delizioso, quando incassiamo una bella somma, quando facciamo sesso, quando si fa uso di certi stimolanti e... quando vediamo un bel volto in una foto, esperienza-cardine nell'uso di Facebook.

Il discorso si estende ben al di là delle foto di visi, e riguarda immagini e video dotate di bellezza e armonia, così come quelle capaci di farci sganasciare dal ridere, anche solo con l'utilizzo della parola scritta.

Ma su Facebook circola anche tanto materiale potenzialmente triste, che cerca di portare l'attenzione su storie difficili, problemi sociali o di salute, casi gravi per i quali si chiede pietà e compassione, anche soltanto cliccando su mi piace o su condividi, come testimonianza della nostra partecipazione.

In questo caso, l'ormone che si attiva è l'ossitocina, che ci rende capaci di entrare in contatto empatico con l'altro (non a caso, è l'ormone che regola i rapporti di cura tra madri e figli).

Il cervello, inoltre, è dotato di neuroni-specchio che sono sempre pronti a sviluppare condivisione, soprattutto quando lo stimolo non è verbale.

La solidarietà può arrivare anche direttamente a noi, per motivi meno gravi, come una semplice influenza o un malessere o addirittura una semplice giornata storta che possiamo scegliere di rendere nota alla nostra cerchia di amici.

Probabilmente, alcuni di loro risponderanno con messaggi e altre azioni per dimostrarci la loro vicinanza: così facendo, ci aiuteranno a diminuire il rilascio di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali che si attivano quando siamo sotto stress.

In questo modo, l'utente che riceve testimonianze di affetto virtuali ha comunque la sensazione di essere circondato da persone che vogliono il suo bene, anche se in realtà sta interagendo solo con uno schermo o un display.

Del resto, la nascita della tecnologia elettronica è ancora troppo recente perché il nostro cervello la percepisca come illusoria, distinguendola nettamente dalle percezioni reali.

Le amicizie, i mi piace e tutte le altre possibilità d'interazione sono di fatto antidoti al senso di solitudine, e unite alla possibilità di usare il social network come mezzo d'intrattenimento - grazie ai giochi, alla musica, ai video - trasformano Facebook nel più potente stimolatore di ormoni naturali dell'essere umano.

Per questo, Facebook è anche una giungla del marketing e della pubblicità, proprio perché l'effetto chimico che ha sugli utenti ne abbassa contemporaneamente le difese razionali e incentiva le azioni impulsive che mirano al raggiungimento del piacere.

Si può pensare che per un ragazzo come il protagonista di Noah sia più difficile trovare le risorse interiori per uscire dal meccanismo di condizionamento dei social come Facebook, ma anche chi ritiene di fare un uso consapevole e moderato del mezzo dovrebbe cercare di capire bene perché lo sta facendo e sotto la spinta di quali forze.

Gli stimoli in grado di provocare il rilascio di certe sostanze nel corpo scavalcano completamente il nostro controllo razionale.

A noi resta la possibilità di accorgercene, magari un attimo dopo, e di non farcene travolgere.

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