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mercoledì 26 giugno 2013

Espressioni facciali: natura o cultura?

Ce l'hai dipinto sul viso...

Mi piace questo modo di dire, riferito a come sia facile a volte leggere emozioni e sentimenti di una persona solo guardandone il volto.

E se è vero che a volte noi presupponiamo che qualcuno stia provando un certo sentimento perché abbiamo assistito a quanto gli è successo - per esempio, l'espressione di dolore di una persona dopo averla vista ferirsi - molte altre volte capiamo al volo lo stato d'animo dell'altro senza sapere quanto accaduto in precedenza.

Una cosa è certa: si tratta di una delle forme di comunicazione più frequenti delle nostre giornate e - oserei dire - più importanti in termini di sopravvivenza.

Se il mondo è bello perché vario, e questa varietà è culturalmente determinata, la questione delle espressioni facciali sembra dimostrare però che alcune caratteristiche umane vanno al di là del condizionamento culturale, poiché si mostrano universalmente a ogni latitudine.

Molte espressioni facciali sono correlate a precise emozioni in tutti e cinque i continenti.


Le ricerche mostrano una corrispondenza che va oltre il novanta per cento, relativa alle espressioni di gioia, tristezza, disgusto.

Sin dai tempi delle caverne, dev'essere stata un'abilità essenziale quella di leggere le intenzioni degli altri attraverso i loro volti, per riconoscere amici e nemici.

I numeri delle statistiche però non sono una prova ma solo una constatazione di fatto.

In fondo, potrebbe benissimo darsi che i bambini - bisognosi di imparare dal modello degli adulti - apprendano involontariamente dalle loro espressioni come atteggiare il viso in risposta a determinati eventi.

La concordanza di espressioni di disgusto, felicità o dolore infatti è ancora più alta tra i piccolissimi.

La domanda è se bambini con meno di un mese possano aver davvero imparato una cosa comunque di una certa complessità in un lasso di tempo così breve e con scarse occasioni di scambio sociale, dato il tipo di vita di una creatura di pochi giorni.

Per questo sono in molti in campo scientifico a vedere nelle espressioni dei neonati una prova della natura innata e non acquisita di questo fenomeno.

A far pendere la bilancia verso l'innato c'è poi la questione delle espressioni dei bambini non vedenti dalla nascita, anch'esse corrispondenti allo standard.

In fondo, possono esserci ragioni neurologiche alla base delle espressioni, anche se i meccanismi che le presiedono potrebbero essere frutto della storia umana.

Secondo certi studi, infatti, il sorriso non sarebbe altro che il mostrare i denti senza mordere, come a voler dire potrei farti del male ma non lo faccio, quindi voglio il tuo bene, un po' come fanno gli animali quando giocano all'unico gioco che sono in grado di fare, cioè la lotta con sottomissione.

In questo caso, l'apprendimento sarebbe stato molto remoto, tanto da inscriversi nel nostro codice genetico.

Altro elemento che fa pensare comunque a un ruolo della cultura emerge da studi condotti su emigranti.

Persone che vanno a risiedere in un altro stato o - meglio ancora - in un altro continente sono più in grado dei loro conterranei d'origine di leggere le espressioni e le intenzioni degli abitanti del nuovo paese di residenza.

Per esempio, un africano trasferitosi nel nostro paese è più capace di comprendere le nostre espressioni facciali e i nostri stati d'animo rispetto a un suo fratello rimasto nel continente d'origine.

Ancora una volta, natura e cultura si inseguono fino a far perdere i loro confini: non è forse questa la bellezza unica del nostro mondo?

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