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mercoledì 1 maggio 2013

Quando il gioco si fa duro...

Un uomo - ma potrei dire una donna - lascia il suo ufficio - o qualsiasi altro posto di lavoro - dicendo al suo capo o ai suoi colleghi che deve sbrigare importanti faccende familiari.

In realtà, usa le ore restanti della giornata a caccia di emozioni rischiose.

Non è la prima e unica volta.

Trova sempre l'occasione per fare giochi d'azzardo: acquista biglietti di lotterie istantanee o a estrazione, scommette su eventi sportivi, carica e scarica la carta di credito fatta apposta dallo Stato, e se ha internet si concede anche qualche gioco online.

A poco a poco, il gioco d'azzardo diventa l'obiettivo principale delle sue ore del brivido.

E le bugie su dove va e su dove finiscono i suoi soldi aumentano a dismisura.

Il suo comportamento sembra indicare un disturbo ossessivo compulsivo che, come una spirale fuori controllo, lo porta ad abusare della fiducia di familiari e conoscenti, rovinando la sua posizione e il suo futuro.

Se questo comportamento sia davvero patologico - come affermano nell'ultimo DSM - richiede le classiche molle, prima di dirlo.


Ci sono ancora moltissime persone, probabilmente la maggioranza, che giocano occasionalmente come forma d'intrattenimento, perché il gioco dà loro una scarica di eccitazione per uscire dalla quotidianità.

Essi sanno che i numeri sono contro di loro, sono consapevoli del rischio che si assumono.

Non giocano sempre, anzi, lo fanno di rado, e non hanno alcun bisogno né intenzione di ingannare familiari e amici.

Il profilo del giocatore d'azzardo urbano - non quelli dei film, che maneggiano le carte francesi, ma quelli che ormai riempiono le diffusissime sale slot che da un giorno all'altro compaiono al posto di negozi e servizi in strada - condivide  paurosamente alcune delle caratteristiche di chi delinque:

  • si fa aspettative irrealistiche
  • cerca il massimo guadagno col minimo sforzo
  • è eccessivamente ottimista riguardo alla possibilità di fare il botto
  • è affetto da cecità temporanea circa la consapevolezza delle conseguenze
  • mente - ora omettendo e ora falsificando - nei confronti di chi potrebbe inchiodarlo alle proprie responsabilità
  • abusa della fiducia altrui
Quando però le responsabilità si fanno così serie da non poter essere più sommerse sotto il tappeto, allora il giocatore si dichiara malato.

Tutta la bellissima informazione che ultimamente si sta facendo in merito - vedi per esempio il lavoro di Nadia Toffa a Le iene - contribuisce a rinforzare la tesi della malattia, ed essi ci si fiondano.

Essendo malato, il giocatore non è in grado da solo di smettere.

Più di una cattiva abitudine, il gioco gli si è attaccato addosso, e liberarsene è una sofferenza.

Nonostante il gioco d'azzardo sia venuto tremendamente alla ribalta in questi ultimi tempi, almeno qui da noi, per il fiorire di queste nuove attività commerciali delle sale slot, la psicologia - anzi, la psichiatria - se ne occupa sin dagli albori.

Già Von Hattingberg ipotizzò che il gioco d'azzardo venga erotizzato sin dall'infanzia, e su questa premessa l'infallibile Freud ha tessuto la sua solita magistrale tela.

Prendendo spunto dalla letteratura - il suo primo amore mancato - e da Dostoevskij - Freud affermò che la cattiva risoluzione del complesso edipico porterebbe a una identificazione del padre con il fato e della madre con la fortuna.

Il giocatore tenta la madre-fortuna e va contro il padre-fato, tutto in una dimensione assolutamente fantastica.

Per questo:
  • il giocatore gioca innanzitutto a un livello fantasmatico, e quindi il gioco è una forma di masturbazione
  • la tentazione della fortuna genera un senso di colpa, da espiare tramite la perdita
  • il gioco, intenso in questo senso, diventa un circolo vizioso per cui il giocatore non riesce a smettere perché in realtà cerca il gioco in sé stesso e non il risultato
Anche Bergler si allineò alla teoria freudiana, sottolineando l'impossibilità di uscire dal circolo, in quanto il giocatore vivrebbe un processo in due fasi:
  • si dà al gioco per regredire dal principio di realtà all'onnipotenza infantile
  • ha bisogno di perdere per ristabilire il contatto col mondo reale
I cognitivisti si limitano a descrivere alcune caratteristiche del giocatore che evidenzierebbero le anomalie nel ragionamento di questi ultimi, come l'idea di avere una parte di controllo sul gioco o il sottostimare le mere questioni matematiche che potrebbero distoglierli dal giocare.

Ultimamente, gli amanti delle cause organiche avrebbero individuato un fattore biologico responsabile del blocco delle azioni reiterate, che ovviamente nei giocatori sarebbe inibito o mal funzionante.

Intanto, le sale aumentano, e se lo Stato da una parte fa come i giocatori che si dimenticano della matematica, e non si rende conto che il costo del recupero dei malati è maggiore degli introiti ricavati dalla concessione alle sale, dall'altra parte istituisce una cosa del genere che ovviamente tutti i giocatori affetti da dipendenza conoscono e usano.

È più grave la dipendenza dal gioco d'azzardo o quella dalla concessione di licenze per le sale del medesimo?

Ai gestori l'ardua sentenza...

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