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sabato 28 luglio 2012

DSM V: come stanno le cose?

Nel 2013 arriverà il DSM V, l'ultima versione del terrificante manuale diagnostico approntato dall'American Psychiatric Association.

La questione diagnosi l'ho già affrontata in questo post che t'invito a rivedere.

Molti si stanno chiedendo quali cambiamenti ci saranno (se ci saranno), quali disturbi saranno ridefiniti, quali cancellati e quali introdotti di sana pianta.

Perché il DSM è come una lingua, e in quanto lingua è fatta di parole che evolvono grazie all'uso che se ne fa, in rapporto a quanto accade nella vita civile.

Il DSM è un vocabolario, anzi, un etichettario.

La differenza tra un vocabolario e un etichettario è semplice:


  • il vocabolario dà i nomi alle cose
  • l'etichettario racconta storie sulle cose
Pensieri e sentimenti di pena, comportamenti indesiderati e stressanti vengono inscatolati ed etichettati, in una sorta di catena di montaggio, per poi essere indirizzati verso il farmaco di turno.

L'irrequietezza di un bambino, la tristezza profonda di un adulto diventano problemi clinici.

Solo che le etichette del DSM non sono proprio a norma: le etichette degli alimenti in genere contengono ingredienti, indicazioni sulla produzione e la provenienza; le etichette del DSM invece non spiegano nulla sulle premesse, i presupposti, le motivazioni di fondo che giustificano l'etichettatura.

Così, l'etichetta non è più solo un nome, diventa un'attribuzione.

L'etichetta depressione o quella di ADHD attribuiscono in maniera silente cause biologiche per le quali non c'è alcuna evidenza.

Chiamare disturbo mentale la tristezza per i genitori che stanno per lasciarsi o l'incontrollabile noia di un bambino a scuola non è solo assegnare un nome.

All'improvviso, gli si attacca l'etichetta e come per magia arriva la spiegazione: ha un disturbo.

Il bambino si alza dal banco a scuola sette volte ogni trenta minuti mentre davanti a un videogioco non stacca il sedere dalla sedia neanche con la forza, però lui ha il disturbo.

Giustamente, la nonna non andrà mai a lamentarsi del comportamento che il bimbo ha con lei, mentre la scuola sì.

Con questo non intendo addossare colpe alla scuola, e il mio pensiero e il mio modo di lavorare con l'iperattività l'ho ben raccontato qui.

Ma non si può passare da estremo a estremo.

E come per tutte le lingue, le parole del DSM sembrano pervasive ma non lo sono.

L'ADHD allora, che nasce per definire l'irrequietezza del bambino a scuola va a coprire l'intera sfera della vita del soggetto: lui è quello malato di quella parola, anzi, di quell'etichetta lì.

Non una parola su ciò che accade intorno alla persona, sul modo in cui i significati che essa attribuisce a quanto vive la influenzano, sugli effetti delle dinamiche relazionali alle quali tutti siamo esposti.

Allora, le etichette del DSM sono come l'influenza che si prende perché contrai un virus.

Quindi, è una questione biologica.

Peccato però che per la stragrande maggioranza dei disturbi in questione non ci sia alcuna evidenza scientifica di cause biologiche accertate, e soprattutto che le definizioni del DSM non contengono l'aggettivo biologico.

Si vocifera che una parte delle grandi menti al lavoro attorno al nuovo DSM voglia aggiungere nella definizione corrente anche questo aggettivo, così nessuno potrà più obiettare.

L'ho detto all'inizio: il DSM è una lingua, e una lingua di tanto in tanto conia dei neologismi che l'uso rende necessari.

È come la pubblicità: nel lanciare un prodotto, si cerca il  linguaggio giusto per colpire i possibili acquirenti.

Le persone che soffrono per le difficoltà della vita sono gli acquirenti.

I prodotti sono i farmaci.

I creativi di questa campagna pubblicitaria sono i signori dell'APA.

Ma per tutto questo, la nostra lingua contiene già una parola adatta: disgustoso.

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