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domenica 30 ottobre 2011

Iperattività: che fare?

Innanzitutto, smettere di chiamarla così.

Il mare di scritti sul fenomeno iperattività è molto eloquente e non starò qui a ripetere che cos'è, come si manifesta, come intervenire, almeno non lo farò dicendo le solite cose (a proposito: Wikipedia serve solo come punto di partenza per farsi un'idea; inoltre, dice che non dà consigli medici, io invece do consigli educativi e me ne assumo la piena responsabilità).

Premetto: ho sulle spalle otto anni di lavoro diretto con questo fenomeno, tutto ciò che dirò è tratto dalla mia esperienza quotidiana.

Se dovessi riassumere in tre concetti la complessa sindrome chiamata frettolosamente iperattività potrei dire:


  1. l'iperattività non è una malattia - quindi non passa magicamente con qualche pillola - bensì una modalità d'interazione tra il bambino e le figure relazionali; solo lavorando alla relazione, si può avere qualche speranza di gestire il fenomeno; ma lavorare alla relazione significa anche essere disposti a cambiare per primi nella speranza che cambi anche la relazione con l'iperattivo
  2. l'iperattività è un fenomeno infantile e già con l'adolescenza - grazie a un lavoro integrato ed efficace - scompare in maniera evidente, lasciando il campo al vero problema sottostante: un disturbo a livello dell'affettività e quindi del modo in cui il soggetto cosiddetto (ex) iperattivo percepisce e dà significato ai rapporti con gli altri
  3. l'iperattività scompare in adolescenza perché finalmente la crescita biologica porta il soggetto (ex) iperattivo a interrogarsi su sé stesso, sulla sua identità sociale, sessuale e relazionale, sul modo in cui si considera ed è considerato dagli altri, finalmente mettendo in dubbio quell'onnipotenza che invece lo ha contraddistinto per tutta l'infanzia, quando metteva sempre sé stesso al primo - anzi, all'unico - posto nel suo mondo
In quest'ultimo punto, accenno a caratteristiche tipiche del soggetto iperattivo, che potrei ricapitolare in tre punti:
  • l'iperattivo è mosso dall'ansia di dominare il mondo circostante; come racconta Winnicott, il bambino nella primissima infanzia crede di essere quasi il creatore del mondo che lo circonda, pensa che gli basta desiderare cibo ed ecco che magicamente la tetta appare, è convinto che gli basta volere calore che due braccia affettuose provvedono a scaldarlo; è assolutamente certo che siano tutti incantesimi generati dalla sua grande potenza; alcuni bambini restano in quest'illusione, ma non sono stupidi: essi invece colgono i molteplici segnali  a riprova del fatto che le cose non stanno così, allora nel timore di scoprire che non sono i dominatori, alzano la posta in gioco con comportamenti che mettono alla prova la realtà circostante (ribellioni, provocazioni, aggressioni, manifestazioni d'ira e così via)
  • l'iperattivo vuole dominare perché teme di essere dominato; e più che teme, dovrei dire che chiede inconsapevolmente qualcuno che lo domini, che lo freni, che - come si dice in gergo psicoeducativo - lo contenga; è naturale che il senso di protezione, nei primi mesi basato sull'abbraccio fisico del genitore, venga sostituito crescendo dal senso del limite, venga in qualche modo metaforizzato dall'educazione e dalle regole relazionali stabilite nel rapporto tra genitori e figli; una parte dei genitori si spaventa e perde l'attimo, un'altra parte di genitori è semplicemente inconsapevole di un po' di cose, prima di tutte quella di essere genitori
  • l'iperattivo ha paura degli altri: e questa paura non se ne andrà quasi mai, anche crescendo, anche quando i sintomi d'iperattività saranno scomparsi (sono fermamente convinto che lavorare all'integrazione dei soggetti cosiddetti iperattivi celi più insidie che benefici, ma in questo post non posso dettagliare la mia argomentazione); così, ci sarà sempre il rischio di reazioni eccessive, intense, anche aggressive, ma stavolta sarà facile capire che sono dettate dalla paura degli altri, paura non fisica, ma del loro giudizio, della loro scarsa considerazione, del loro scherno; in fase adolescenziale, infatti, il soggetto (ex) iperattivo sposta il suo focus - come ogni altro adolescente - sui pari, e tuttavia fa fatica ad accettare quei "crudeli" modi di interagire, tipici dei ragazzi, non sa stare allo scherzo, si sente sprofondare davanti a uno sfottò, ha paura di esibire il suo corpo, ha persino sintomi ossessivi, è in preda a un potenziale terrore che tiene attiva la sua reattività; ecco come potremmo definirlo, in adolescenza: iperreattivo!
Non può mancare, ovviamente, un accenno a che cosa fare, annunciato anche dal titolo del post.

Ti dirò che cosa ho fatto io, per affrontare questo fenomeno, nelle mie esperienze educative:
  1. Lavorare con i genitori: al novantanove per cento, il soggetto cosiddetto iperattivo ha imparato a stare al mondo nel modo descritto sopra a casa sua; nessuna colpevolizzazione dei genitori, papà e mamma non nascono sapendo fare il papà e la mamma, quindi rimboccarsi le maniche e aggiustare il delicato meccanismo familiare è la primissima cosa; i genitori non devono comportarsi come i figli - quindi non dare in escandescenze, non agire la rabbia - , devono dire ai figli quale comportamento si aspettano da loro e come risponderanno nel caso in cui i figli non dovessero attenersi a quanto stabilito, e devono mantenere la fermezza nel far rispettare le regole; se la persona che si occupa del caso si accorge che i genitori, al momento, non sono sufficientemente sicuri per osservare queste norme, dovrà ovviamente lavorare con loro per portarli al sufficiente livello di sicurezza
  2. Gestire i contesti: il comportamento del soggetto cosiddetto iperattivo è assolutamente ripetitivo e prevedibile, basta solo fare qualche giorno di osservazione per cogliere le ridondanze e i pattern; a quel punto, bisogna capire quando il soggetto agisce perché vuole ottenere qualcosa o vuole evitare qualcosa, e cambiare ciò che accade di solito prima dell'episodio problematico; come già detto, agisce per paura: paura di non avere, o paura di avere qualcosa di sgradevole; bisogna lavorare su ciò che scatena queste due forme di paura (per approfondire questa dinamica, leggi questo post)
  3. Trattarlo da bambino: e da adolescente, qualora durante la crescita ci siano degli strascichi d'iperattività; poiché l'iperattivo gioca a prendere il sopravvento, finisce spesso a ottenere un potere che gli altri bambini possono solo fantasticare (interferire sugli impegni dei genitori, sui piani stabiliti per pranzo o cena, parlare a sproposito, aggredire verbalmente o fisicamente e così via); e i freudiani ci hanno insegnato che le fantasie d'onnipotenza sono fortissime, nei bambini; immaginate dunque cosa può accadere quando un bambino iperattivo riesce a trasformare queste fantasie in realtà: non lo ferma più nessuno (o quasi). Lui è un bambino/ragazzo: deve fare il lavoro del bambino/ragazzo (venire a tavola e alzarsi quando i genitori lo consentono, andare a scuola, fare i compiti, spegnere tv e giochi quando i genitori lo stabiliscono, andare a letto quando i genitori lo decidono, una volta si chiamava obbedire e non era considerata una brutta cosa, poi sono arrivati quelli che hanno letto troppo in fretta Don Milani, ma questa è un'altra storia che magari un giorno racconterò...). E gli adulti devono fare gli adulti.
Iperattività: poche cose da fare, semplici, non facili, sicure.

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