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giovedì 30 luglio 2015

Uomo: creatura razionale o razionalizzante?

Che ogni nostro pensiero, desiderio, gesto, abbia delle ricadute nel futuro - immediato o più lontano - è fuori di dubbio.

Ma che noi prestiamo davvero attenzione al fatto che la responsabilità di queste ricadute è sempre nostra è tutto da vedere.

Forse l'unico momento in cui davvero proviamo una consapevolezza solida delle conseguenze future è quando agiamo sotto l'azione dell'istinto di sopravvivenza e della paura.

Decenni di studi sul comportamento umano non sono riusciti a fare piena luce sulla difficoltà dell'uomo nel far andare a braccetto istinto e razionalità.

Anzi, gli studiosi si sono addirittura spartiti le discipline, così l'economia applicata al comportamento si è costruita partendo dall'idea di un uomo completamente razionale, mentre la piscologia nasce ufficialmente quando quel signore austriaco disse che in realtà noi non sappiamo mai che cosa facciamo e perché lo facciamo.

Così tutti abbiamo vissuto l'esperienza di pensare rapidamente e agire di conseguenza - rapidamente al punto da non definirlo nemmeno un pensare - accanto all'altra esperienza, quella di - provare a - meditare passo dopo passo, con lentezza, a che cosa ci conviene di più.

In genere, con la prima modalità di pensiero assolviamo ai desideri istintivi, di pancia; con il lento deliberare invece allunghiamo la prospettiva e cerchiamo di prendere decisioni a lungo termine.

Sapere che esistono questi due processi, e cercare di farli interagire sembra essere il tema principale di tutti i libri e i manuali che oggi puoi trovare in vendita, quelli che ti invitano a smettere di, o quelli che ti spronano a prendere la tua vita e... ma a ben vedere si tratta di un'interazione ardua, così questi stessi manuali finiscono per propendere ora verso un sonoro vaffa alla razionalità per esaltare l'istinto e liberarsi - ma da che? - e ora per mettere paletti alle intuizioni e passarle in processi meccanici di elaborazione per pensare - come? - e vivere meglio.

Se è così difficile far andare veramente di pari passo istinto e razionalità, forse è perché ci sfugge qualcosa.

Così, proviamo un attimo a mettere ordine tra tutti gli elementi in gioco, per vedere se ci riesce almeno di capire perché è così complicato.

sabato 8 giugno 2013

Il terzo giorno è risuscitato...


 Più o meno tutti gli occidentali riconoscono questa frase come uno dei dogmi della dottrina cristiana, nelle sue varie declinazioni.

Ma non è di religione che voglio parlarti, sebbene sia mia intenzione sfruttare la suggestione di queste parole come trampolino di lancio per questo post.

Quante volte nella nostra vita abbiamo fantasticato una metaforica resurrezione da una condizione spiacevole?

C'è chi vuole smettere di fumare ma non si sente pronto.

Chi vorrebbe divorziare ma non crede di averne ancora la forza.

Chi non sopporta più il proprio lavoro e desidererebbe cambiare aria.

Queste dichiarazioni d'intento - pronunciate da noi o ascoltate da altri - più volte si affacciano nell'arco di una vita.

Peccato che, messe così, sono soltanto dimostrazioni di inerzia, di una distanza quasi incolmabile tra l'idea del cambiamento e la sua realizzazione.

Perché è così difficile mettere in atto i cambiamenti dei quali sentiamo il bisogno?

Se una persona giudica inaccettabile la situazione in cui si trova e riesce a vedere che cosa potrebbe cambiare, perché non lo fa e basta?

Forse la chiave sta proprio in quei tre giorni.

Credi che ti basteranno per risuscitare?

mercoledì 4 luglio 2012

Test: soffri di "tecnologite" acuta?

Avrai già intuito dove voglio andare a parare: sei capace di staccare dal tuo cellulare, dal PC, dal portatile, dal tablet, persino dall'mp3?

Naturalmente non voglio predicare di staccarci per sempre da tutto ciò, quando il mondo intorno a noi è interamente digitale.

Tuttavia, non è certo sano restare connessi 24 ore al giorno 7 giorni su 7.

Se sei un padreterno della tecnologia e la usi alla grande per il tuo lavoro, è comprensibile che tu ne faccia un uso abbondante.

Se però tutti i tuoi clic non stanno migliorando la qualità della tua vita, forse ti stai ammalando di "tecnologite".

E quando dico ammalando non intendo solo psicologicamente: in realtà, l'uso di questi strumenti che ormai affastellano le nostre vite produce gli stessi effetti neurochimici in termini di stimolo dopaminico di alcool, droga, sesso compulsivo e gioco d'azzardo.

Saper staccare dalla rete nella quale siamo intrappolati comporta innanzitutto un guadagno in termini di tempo libero.

Un tempo che potrai usare per migliorare le tue attività, per avere più condivisione con i tuoi familiari e i tuoi cari, per vivere con loro esperienze divertenti e di conseguenza accrescere la soddisfazione per le tue relazioni.

Allora: vuoi scoprire se sei a rischio o no?

martedì 12 giugno 2012

Pensiero critico: conoscerlo, capirlo, usarlo

Che cos'è il pensiero critico?

Potremmo definirlo un modo di pensare sorretto da una disciplina governata da alcuni principi intellettivi inequivocabili.

La stessa definizione è un esempio di pensiero critico, nello specifico il tentativo di definire in maniera equilibrata il significato del termine.

In pratica, significa identificare e analizzare gli argomenti, le affermazioni sulla verità o la falsità degli stessi, scovare e superare pregiudizi e preconcetti, sviluppare i propri ragionamenti in direzione di ciò in cui crediamo, considerare le eventuali obiezioni, il tutto per arrivare a scelte quanto più razionali e coerenti con i propri valori.

Complicato?

Nessuno sta dicendo che il pensiero critico debba essere applicato in ogni momento della nostra vita, così all'impronta.

Di fronte a momenti critici, però, è necessario non farsi prendere da implusività né da ristrettezze mentali.

Quali sono i principi da osservare per pensare bene?

giovedì 7 giugno 2012

Dipendenze subdole: qual è la tua?

La parola dipendenza fa subito scattare l'associazione con fumo, alcool, stupefacenti e altre sostanze in grado di alterare i nostri stati.

Non è di questo che voglio parlare.

Se quelle dipendenze provocano un danno più o meno diretto sulla tua salute psico-fisica, ci sono altre dipendenze che ti allontanano da ciò che è meglio per te.

Una marea di abitudini e comportamenti sono in agguato, pronti ad assorbire il nostro tempo e le nostre energie, senza darci nulla di concreto in cambio.

Perché definirle dipendenze?

Perché, anche se tu lo negherai fino alla fine, esse ti privano del controllo, occupano ogni tuo momento potenzialmente creativo, ti succhiano l'energia fino all'ultima goccia.

Sebbene la schiavitù sia stata (quasi del tutto) abolita, dev'esserci qualche errore di fabbricazione nel progetto umano, che ci spinge verso comportamenti e abitudini in grado di schiavizzarci.

E funzionano esattamente come quelle sostanze in grado di creare dipendenze ben più serie: smettere di seguirle è difficilissimo.

sabato 26 maggio 2012

L'impulsività è uomo, il controllo è donna



 Se non fossero bastati i due post sul confronto tra maschi e femmine e sulla reciproca sessualità, ecco qui il classico non c'è due senza tre, che afferma un'altra verità scomoda per i maschi e da gongolarsi per le femmine.

La Durham University in Gran Bretagna, infatti, ha condotto una lunga analisi trasversale per tracciare i confini dell'impulsività e del controllo negli uomini e nelle donne.

La prima parte dello studio si concentra sugli atti criminali e sui comportamenti a rischio, nei quali i maschi schiacciano le femmine con il 76 % degli arresti, l'89 % degli omicidi e l'82 % dei crimini.

Anche i dati sulle dipendenze - dal fumo alle droghe - o sull'incidenza di disagi psichici pendono tutti dal lato maschile di gran lunga, questi ultimi soprattutto in relazione a disturbi della condotta, disturbi antisociali, ADHD e disturbo esplosivo intermittente.

Proprio questi dati hanno spinto i ricercatori a esaminare come se la cavano al volante maschi e femmine.

venerdì 9 marzo 2012

Il diritto di essere assertivi

Ho già parlato di assertività in almeno due post ma oggi voglio offrirti una prospettiva differente.

L'assertività, ricordiamolo, è la capacità di esprimersi senza violare i diritti altrui e - soprattutto - i propri.

Se cerchi di affermare le tue idee tentando un sopruso sull'interlocutore, allora stai adottando un comportamento aggressivo.

Se, viceversa, consenti all'altra persona il sopruso, sei in piena passività.

Purtroppo, non è affatto semplice distinguere queste tre tonalità comportamentali, né è facile capire quando è il caso di adottare l'una o l'altra.

Perché bisogna dire anche questo: a volte l'aggressività e la passività sono necessarie.

Se in un angolo buio si avvicina qualcuno con la pistola e ti chiede di consegnargli tutto ciò che hai, non sarà il caso di sfoggiare la tua migliore assertività o peggio di virare verso l'aggressione: il tuo obiettivo è uscire in salute dall'angolo buio, quindi farai meglio a dargli il portafogli.

È anche vero che se il tizio che si avvicina ha un bastone, un ricorso all'aggressività potrebbe anche funzionare e spingerlo alla ritirata.

Come possiamo sapere esattamente quali comportamenti sono assertivi - e quindi civili - e quali no?

Esiste una "carta dei diritti" dell'assertività?

No, ma rimediamo subito.

martedì 2 novembre 2010

Rispondere agli altri senza reagire


Che differenza c'è tra reagire e rispondere?
Il termine reazione è molto interessante.

Il prefisso re significa tornare a una condizione trascorsa, oppure ripetere un'azione precedente.

Reagire dunque vuol dire agire in base all'esperienza passata.

Noi tutti pensiamo che le reazioni emotive siano normali.

Ma reagire con l'emotività di fatto significa agire senza pensare.

Non osserviamo la realtà in modo chiaro.

Il nostro inconscio ha stabilito che c'è qualcosa di minaccioso e risponde basandosi sul passato.

Questo vuol dire che la reazione è orientata a proteggerci più che a trovare una soluzione a un problema.

Non esaminiamo ciò che sta accadendo nella realtà del momento, ma "rotoliamo" all'indietro in vecchi modi di essere, basati sulle nostre paure e insicurezze, che mettono in allarme la nostra mente e provocano la reazione.

Una risposta dell'inconscio a uno stimolo.

Un'altissima percentuale di tutto ciò che facciamo è determinata dal nostro inconscio, perciò è normale che in questi casi esso, trovando somiglianze tra ciò che sta accadendo nel presente e ciò che è accaduto nel passato, pensi che stia avvenendo di nuovo la stessa cosa, che c'è una minaccia potenziale, e ci induca a reagire.

La sua intenzione è positiva: vuole proteggerti da qualcosa che percepisce come un pericolo.

Ha deciso che non sei al sicuro e che devi agire.

Un flusso ormonale si propaga nel tuo corpo preparandoti alla lotta o alla fuga.

giovedì 9 settembre 2010

La via della chiarezza - Prima parte


Sgombrare la via
Inizia da qui un viaggio in tre tappe sulla via della chiarezza.

Non ci rendiamo conto di quanto sia importante tenere "pulita" la nostra mente finché un bel giorno ci svegliamo senza avere la minima idea del prossimo passo da compiere, e ci sembra di brancolare nella nebbia più fitta.

Non è affatto divertente la morsa dell'incertezza, e a chiunque può capitare di inciampare nella confusione e di annaspare cercando di venirne fuori, con un crescente senso di frustrazione.

Ma perché invece a volte ci sentiamo abitati da un sorprendente senso di pace, di calma?

A cosa dobbiamo prestare attenzione per acquisire maggiore consapevolezza di queste due condizioni - confusione e chiarezza - e tenerci in equilibrio?

Sicuramente le domande.

Direi che la differenza principale è questa: la confusione è il segnale di una domanda che sorge dentro di noi e che spinge violentemente per essere ascoltata, mentre la chiarezza è il risultato della risposta  a questa domanda, ma si tratta di una risposta che nasce da noi, dal nostro interno, non è data da altri - e come potrebbero conoscere le risposte alle nostre domande? - né trovata nei cioccolatini.

Più precisamente, la chiarezza arriva quando riconosciamo quel tipo di risposta e buttiamo tutte le altre, arrivate dall'esterno.

Il percorso che ti propongo si articola in tre tappe, ma se dovessi riassumerlo in una frase direi: dar voce alla nostra saggezza interiore.

C'è una parte saggia, sincera, senza fronzoli e senza peli sulla lingua, dentro di noi, alla quale non sempre permettiamo di esprimersi - come facciamo con chi ci vuole "sbattere" troppe verità in faccia - perché altrimenti saremmo costretti a sentire quanto è faticosa la strada della chiarezza con noi stessi.

Come l'oistros, l'estro di Socrate, il nostro saggio interiore ci pungola per non farci adagiare nella nostra piccolezza.

Con questo saggio interiore dobbiamo fare amicizia.

Con la chiarezza dobbiamo vestirci ogni giorno.

Il viaggio comincia.

martedì 17 agosto 2010

Piccoli ominidi crescono

Nel post precedente, La rabbia del cavernicolo, ho descritto il meccanismo primitivo alla base dei nostri risentimenti.

Vediamo ora se possiamo evolverci da cavernicoli a esseri sociali, come Aristotele predicava.

Non credo tu debba rifiutare i sentimenti negativi, quando si presentano.

Ma puoi di certo usare metodi responsabili nel trattare queste spiacevoli emozioni, per non rimanerne schiavi.

Per quanto difficile possa sembrare, le due chiavi per uscire dal risentimento sono la comprensione e il perdono.

I nostri impulsi spingono nella direzione opposta, ne fanno una questione di autodifesa e sopravvivenza.

Eppure la strada è quella.

La comprensione aiuta a sentire ciò che l'altra persona sta provando, ci fa approdare all'empatia.

Dall'empatia, il perdono riesce a sbocciare in modo spontaneo, tu non devi fare nulla perché accada.

Ma per la comprensione, puoi fare molto.

Innanzitutto, trovando un posto tranquillo dove raccoglierti.

Il semplice atto di cambiare luogo, di allontanarsi dallo spazio dello scontro con un'altra persona, ti fa uscire dal corpo del cavernicolo e ti fa vedere ciò che sta accadendo con più distacco.

E qual è la prima cosa che vedrai, in modo chiaro?

Che anche l'altra persona in realtà sta agendo mossa dal cavernicolo che ha preso il sopravvento.

In un certo senso, mentre sbraita o inveisce contro di te, ella non è padrona di sé.

I passi da seguire?

Eccoli.

martedì 22 giugno 2010

Pensare positivo: cinque suggerimenti per non dimenticarsene




Prima di andare, vorrei lasciarvi con un pensiero positivo, ma non ce l'ho: fa lo stesso se ve ne lascio due negativi?

Woody Allen è capace di trasformare i nostri difetti in occasioni per nutrire l'animo con l'umorismo.

Ma non siamo tutti capaci di fare altrettanto e troppe volte perdiamo la strada giusta e imbocchiamo quella negativa, a nostro svantaggio.

L'importanza di pensare in positivo non verrà mai sottolineata abbastanza.

Se facessimo un monitoraggio continuo per calcolare quanto tempo spendiamo nel pensare in positivo o nel rovinarci giornate e umore correndo dietro a idee nefaste resteremmo terribilmente sorpresi e ci renderemmo conto di una cosa: stiamo rischiando di sprecare il nostro tempo.

Pensare positivo è facile quando tutto scorre liscio: il vero problema è rimanere sintonizzati sulla positività anche quando le sfide della vita rendono tortuosa la nostra strada.

Mentre restare sul sentiero della positività ci permette di conservare proprio quell'apertura mentale utile a uscire dalle situazioni difficili, lasciarsi andare nella negatività produce una tremenda reazione a catena: le nostre abilità nel risolvere problemi calano vistosamente, il nostro animo si logora e "infettiamo" anche chi ci sta intorno, inducendolo ad allontanarsi.

A cosa dobbiamo stare attenti per conservare il pensiero positivo e stare alla larga dalla negatività?


venerdì 27 novembre 2009

Tre cose da sapere di sé


Sapere qualcosa su noi stessi è un risultato che richiede percorsi diversi da qualsiasi altro sapere.
  • Non ci sono scuole da frequentare per avere il diploma di "persona".
  • Non esistono libri in cui studiare nozioni fondamentali del proprio essere.
  • Non è possibile trovare persone capaci di dirci tutto ciò che ci servirebbe sapere su di noi.
Pare proprio che dobbiamo cavarcela con le nostre forze.

La civiltà moderna e ipertecnologica però non permette un confronto sufficiente con la propria interiorità, con la propria sensibilità e con le proprie emozioni, positive o negative che siano.

Così viviamo in una società poco propensa a incitare i suoi giovani all'acquisizione di indipendenza.

Invece, in altre epoche e tuttora in altre culture, il passaggio dall'avere qualcuno a curarsi di noi al diventare autonomi veniva e viene addirittura festeggiato e ritualizzato, invece di essere messo sotto silenzio o scoraggiato come nel nostro ambiente sociale.

Viceversa, una società avanzata come la nostra ha bisogno di uno sviluppo esasperato della dimensione razionale, delle capacità cognitive, di ciò che sta dal collo in su a scapito di ciò che c'è sotto.

Questa frattura può impedire di acquisire dimestichezza con la nostra dimensione interiore, sensibile, emotiva e tutta l'intelligenza che la nostra cultura ci spinge a sviluppare sembra non aiutarci neanche un po' quando dobbiamo fare i conti con manifestazioni emotive quali irrequietezza, paure, preoccupazioni, arrabbiature, cali di umore ecc.

Dove ci siamo persi di preciso e da dove possiamo ricominciare?