Che ogni nostro pensiero, desiderio, gesto, abbia delle ricadute nel futuro - immediato o più lontano - è fuori di dubbio.
Ma che noi prestiamo davvero attenzione al fatto che la responsabilità di queste ricadute è sempre nostra è tutto da vedere.
Forse l'unico momento in cui davvero proviamo una consapevolezza solida delle conseguenze future è quando agiamo sotto l'azione dell'istinto di sopravvivenza e della paura.
Decenni di studi sul comportamento umano non sono riusciti a fare piena luce sulla difficoltà dell'uomo nel far andare a braccetto istinto e razionalità.
Anzi, gli studiosi si sono addirittura spartiti le discipline, così l'economia applicata al comportamento si è costruita partendo dall'idea di un uomo completamente razionale, mentre la piscologia nasce ufficialmente quando quel signore austriaco disse che in realtà noi non sappiamo mai che cosa facciamo e perché lo facciamo.
Così tutti abbiamo vissuto l'esperienza di pensare rapidamente e agire di conseguenza - rapidamente al punto da non definirlo nemmeno un pensare - accanto all'altra esperienza, quella di - provare a - meditare passo dopo passo, con lentezza, a che cosa ci conviene di più.
In genere, con la prima modalità di pensiero assolviamo ai desideri istintivi, di pancia; con il lento deliberare invece allunghiamo la prospettiva e cerchiamo di prendere decisioni a lungo termine.
Sapere che esistono questi due processi, e cercare di farli interagire sembra essere il tema principale di tutti i libri e i manuali che oggi puoi trovare in vendita, quelli che ti invitano a smettere di, o quelli che ti spronano a prendere la tua vita e... ma a ben vedere si tratta di un'interazione ardua, così questi stessi manuali finiscono per propendere ora verso un sonoro vaffa alla razionalità per esaltare l'istinto e liberarsi - ma da che? - e ora per mettere paletti alle intuizioni e passarle in processi meccanici di elaborazione per pensare - come? - e vivere meglio.
Se è così difficile far andare veramente di pari passo istinto e razionalità, forse è perché ci sfugge qualcosa.
Così, proviamo un attimo a mettere ordine tra tutti gli elementi in gioco, per vedere se ci riesce almeno di capire perché è così complicato.
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giovedì 30 luglio 2015
lunedì 2 giugno 2014
Quale ricerca per quale equilibrio?
Essere virtuosi è apparentemente una bella cosa.
Eppure, le virtù - come i vizi e le spinte della vita - a volte confliggono, e non è così semplice seguirle, soprattutto quando alcune di esse sembrano sgomitare per avere l'esclusiva.
Vuoi essere libero, ma vuoi anche sentirti sicuro.
Vuoi libertà d'azione, ma anche giustizia.
Vuoi pensare a te ma vuoi avere compassione per gli altri.
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lunedì 14 aprile 2014
Le diete della mente
Forse è ancora un po' presto, ma l'ondata di caldo e di giornate praticamente estive ha già fatto uscire di casa i tanti cercatori-di-forma-fisica-dell-ultimo-minuto, che si vedono corricchiare e pedalare a orari persino improbabili.
E anche chi non esce a sgobbare e sudare, si porrà senz'altro il problema del calo del peso in vista della prova costume, ovviamente cercando e provando a seguire una... dieta.
A pensarci bene, l'unico metodo per non fallire una dieta è inventarla.
Poiché è molto difficile attenersi scrupolosamente a regimi restrittivi e a cambiamenti radicali d'abitudine, non è un mistero che la maggior parte dei tentativi di mettersi a dieta e dimagrire falliscano.
Invece, se sei tu l'inventore della dieta che proponi agli altri, l'incentivo a seguirla e il disincentivo a fare strappi rendono molto più facile la perseveranza.
Perché chi propone agli altri una dieta non sta solo facendola e quindi perdendo peso.
Sta anche costruendo il senso del suo stesso valore.
L'identità stessa di questa persona si baserebbe sul successo o sul fallimento del regime dietetico.
Se solo smettesse di praticare la dieta che predica, la ciccia aumenterebbe mostrando a tutti la sua ipocrisia.
E se la dieta non funziona, come minimo verrebbe tacciato di ciarlataneria.
In realtà, questo meccanismo funziona per tutte le forme di autodisciplina.
Ed è giusto che sia così.
Gli allenatori, i personal trainer sono ben motivati a tenersi in gran forma, perché il loro corpo è l'anima del loro commercio.
Lo stesso vale per chi insegna a vestirsi, a parlare in pubblico, a fare business.
La domanda è se in questo meccanismo rientrino anche gli psicologi e tutti i professionisti dell'aiuto.
E anche chi non esce a sgobbare e sudare, si porrà senz'altro il problema del calo del peso in vista della prova costume, ovviamente cercando e provando a seguire una... dieta.
A pensarci bene, l'unico metodo per non fallire una dieta è inventarla.
Poiché è molto difficile attenersi scrupolosamente a regimi restrittivi e a cambiamenti radicali d'abitudine, non è un mistero che la maggior parte dei tentativi di mettersi a dieta e dimagrire falliscano.
Invece, se sei tu l'inventore della dieta che proponi agli altri, l'incentivo a seguirla e il disincentivo a fare strappi rendono molto più facile la perseveranza.
Perché chi propone agli altri una dieta non sta solo facendola e quindi perdendo peso.
Sta anche costruendo il senso del suo stesso valore.
L'identità stessa di questa persona si baserebbe sul successo o sul fallimento del regime dietetico.
Se solo smettesse di praticare la dieta che predica, la ciccia aumenterebbe mostrando a tutti la sua ipocrisia.
E se la dieta non funziona, come minimo verrebbe tacciato di ciarlataneria.
In realtà, questo meccanismo funziona per tutte le forme di autodisciplina.
Ed è giusto che sia così.
Gli allenatori, i personal trainer sono ben motivati a tenersi in gran forma, perché il loro corpo è l'anima del loro commercio.
Lo stesso vale per chi insegna a vestirsi, a parlare in pubblico, a fare business.
La domanda è se in questo meccanismo rientrino anche gli psicologi e tutti i professionisti dell'aiuto.
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