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sabato 16 novembre 2013

La trappola del disturbo oppositivo provocatorio

Quanto è dura oggi la vita dei ragazzi arrabbiati o infelici.

Ai primi si dice subito che devono imparare a gestire correttamente il loro sentimento, a leggere le situazioni nelle quali lo provano, a elaborare, procrastinare e altre formule magiche.

Ai secondi va anche peggio, perché subito il marchio di una presunta depressione incombe su di loro, e mentre le presunte depressioni scompaiono, i marchi sono più duri a svanire.

Sembra che le istituzioni educative oggi spendano tantissimo tempo a medicalizzare gli adolescenti, come se crescere fosse di per sé una potenziale malattia, come se la rabbia fosse agli antipodi della salute, come se l'infelicità fosse una disgrazia, e proprio in questa fase dello sviluppo, che di occasioni per arrabbiarsi o intristirsi ne offre a iosa.

Una delle etichette diagnostiche che ho incontrato frequentemente in questi anni, e che maggiormente mi hanno lasciato perplesso è il disturbo oppositivo provocatorio.

lunedì 30 luglio 2012

Il mensile di Studialamente: luglio 2012

Il diavolo fa le pentole...
E i coperchi dei monsignori sono una vera schifezza.

Al di là della battuta, quanto accaduto nell'intervista al vescovo d'Isernia, la cui ignoranza abissale gli ha fatto dire cose irripetibili sulla sindrome di Down, ci dice a che punto siamo nello sviluppo culturale, civile, sociale e mentale.

Oltre all'indignazione, ne ho parlato perché anche il cattolicesimo, come tutte le pratiche degenerate dalle religioni, pesca a piene mani nei sentimenti della gente in cerca di spiegazioni facili e di qualche pittoresco protettore che li guidi verso la luce.

Qui trovi sia la videointervista che le mie riflessioni.

Salvaci dalla tecnologia!
Quando si è nell'occhio del ciclone non ci si può accorgere del suo potere devastante.

Allo stesso modo, siamo così immersi nella tecnologia e circondati da apparecchiature che solo fino a pochi anni fa si potevano trovare nei romanzi di fantascienza, da non renderci conto di quanto ci stanno influenzando.

Non possiamo sapere come evolverà la situazione, però possiamo chiederci di che tipo di tecnologite ci stiamo ammalando, leggendo questo post.

Psicologo o counselor, vostro onore?
Ormai dobbiamo rivolgerci al giudice anche per farci aiutare a scegliere da quale professionista dell'aiuto dobbiamo andare.

L'ordine degli psicologi della Lombardia infatti ha battuto anche in appello alcuni dei suoi stessi membri colpevoli di diffondere il counseling, contrariamente a quanto prescritto dal codice deontologico.

Ma è solo una questione di codicilli o ci sono ragioni più potenti dietro questo scontro?

E soprattutto, quali garanzie hanno i cittadini quando si recano da un presunto specialista?

Scoprilo in questo articolo.

Una mente mangia-storie
Siamo ancora lontanissimi dalla piena comprensione di quanto accade nel nostro cervello.

Per questo, studi diversissimi e interessantissimi si alternano nell'attacco al pieno svelamento di quanto abbiamo nella testa.

Studi recenti sul funzionamento dei neurotrasmettitori in relazione alla lettura di romanzi, all'ascolto di storie o alla visione di film mostrano risultati sorprendenti.

Grazie alle storie, il cervello infatti è in grado di compiere tutto il lavoro di cui ha bisogno, senza tuttavia tradurlo in azione concreta (cosa che comporterebbe un dispendio eccessivo di energie).

In pratica, il cervello ha bisogno di lavorare molto più di quanto il corpo sia in grado di garantirgli, per questo, grazie alle storie, la materia grigia si sazia a sufficienza, come puoi leggere qui.

Bambini soli o bambini abbandonati?
Nell'ultimo spot dell'AiBi sembra che questi due concetti siano intercambiabili.

In realtà, la condizione d'abbandono dei bambini nei paesi meno sviluppati, che l'associazione cerca di inserire in programmi d'adozione, non c'entra nulla con la condizione sentimentale di solitudine che certi bambini con entrambi i genitori possono provare per mancanza di cure e vicinanza emotiva.

Ma nel loro spot le due cose si sovrappongono: vieni a scoprire in che modo e con quali conseguenze.

Pazzo sì, ma fesso no!
Diceva un vecchissimo spot su una marca di caffè.

Lo slogan si potrebbe adattare per l'imminente uscita del DSM V, il nuovissimo manuale crea-patologie a disposizione di tutti gli psichiatri dalla ricetta facile (e di tutti gli insegnanti e gli educatori incapaci).

Il mondo è nettamente diviso su questo tema: da una parte i professionisti dell'aiuto che ravvisano la totale inadeguatezza del sistema diagnostico del manuale, dall'altro l'APA e i suoi ambigui rapporti con le grandi case farmaceutiche.

In questo articolo puoi capire perché il DSM non può funzionare e qual è l'alternativa.

sabato 28 luglio 2012

DSM V: come stanno le cose?

Nel 2013 arriverà il DSM V, l'ultima versione del terrificante manuale diagnostico approntato dall'American Psychiatric Association.

La questione diagnosi l'ho già affrontata in questo post che t'invito a rivedere.

Molti si stanno chiedendo quali cambiamenti ci saranno (se ci saranno), quali disturbi saranno ridefiniti, quali cancellati e quali introdotti di sana pianta.

Perché il DSM è come una lingua, e in quanto lingua è fatta di parole che evolvono grazie all'uso che se ne fa, in rapporto a quanto accade nella vita civile.

Il DSM è un vocabolario, anzi, un etichettario.

La differenza tra un vocabolario e un etichettario è semplice:

mercoledì 14 dicembre 2011

Passivo-aggressivo: questo sconosciuto

Se chiedi a qualcuno di fare qualcosa, avrai due possibili reazioni: o questa persona acconsente e fa quella determinata cosa, o non acconsente, pertanto ti tocca fartela da te.

In realtà, le cose non sono così semplici, se t'imbatti in qualcuno che acconsente a parole ma che alla fine, nonostante timidi tentativi di realizzazione, non fa quanto pattuito.

La persona in questione potrebbe semplicemente aver cambiato idea, e in questo caso te lo comunicherà.

Se però la persona tergiversa, cerca scuse, si ripromette e ti ripromette di riparare - anche se entrambi sapete che finirà ancora in un nulla di fatto - è molto probabile si tratti di una persona con serie difficoltà relazionali, tanto serie da sfuggire persino ai manuali di psicodiagnostica.

Tra i cosiddetti disturbi NAS, cioè Non Altrimenti Specificati, per i quali in pratica non si riesce a trovare un accordo definitorio, compare anche il disturbo passivo-aggressivo, caratterizzato da una strana commistione tra questi due atteggiamenti, aggressività e passività, che di solito sono come il giorno e la notte.

venerdì 12 marzo 2010

Sano o malato di mente: quando il cinema è meglio della psicodiagnostica



Tutti pazzi per il cinema
Shutter Island è il nuovo film di Martin Scorsese sul tema della differenza tra sanità e pazzia e sulla responsabilità di scegliere da che parte stare (non dico altro, andatelo a vedere).

Il cinema ha usato spesso questi temi ma raramente in modo da far sentire allo spettatore il loro giusto "peso".

Infatti, alla responsabilità del protagonista, interpretato da Leonardo Di Caprio, nella scelta del suo destino si accompagna la responsabilità dello spettatore nel decidere che film ha visto, perché la trama è connotata da una ambivalenza che Scorsese volutamente non risolve, così a noi che guardiamo tocca prendere posizione.

Ma il film è interessante perché ruota intorno a una delle questioni più spinose della storia della psichiatria: il labeling, o etichettamento.

sabato 12 dicembre 2009

La depressione: tra malattia, disordine e fenomeno sociale


La depressione è catalogata nel DSM tra i disturbi dell'umore e si caratterizza soprattutto per due sintomi:
  • umore depresso
  • perdita di interesse o piacere
Mi limito a queste poche parole e al link informativo poiché esistono in commercio e online tantissime pubblicazioni in merito con approfondimenti.

Mi interessa invece confrontare i tre modi in cui si "guarda" alla depressione da tre punti di vista:
  • biologico
  • psicologico
  • sociologico
Il modo in cui si parla comunemente della depressione, infatti, sembra determinato da questi tre contesti, per cui:
  • chi guarda alla depressione come un fenomeno biologico la considererà alla stregua di una qualsiasi malattia e incoraggerà l'uso di farmaci
  • chi guarda alla depressione da un punto di vista psicologico la vedrà come conseguenza di bassa autostima, poca consapevolezza emotiva e credenze errate e si concentrerà su come la persona depressa vede la vita
  • chi guarda alla depressione in una cornice sociologica ne farà una questione di capacità di adattamento personale e di vincoli e risorse offerte dall'ambiente circostante
Ma chi teme di sentirsi depresso o chi ha ricevuto una diagnosi di depressione vuole sapere chi ha ragione, senza troppe chiacchiere perché da questa ragione dipenderanno le possibilità di risolvere il problema.

venerdì 4 dicembre 2009

Attacchi di panico: una paura che non bussa alla porta


Mi piacerebbe iniziare con una definizione dell'attacco di panico ma la quantità di informazioni su questo "fenomeno" è tanto vasta da sentirmi ridicolo al solo pensiero di aggiungermi al "coro", perciò mi limito per ora al solo link informativo.

L'affermazione che più mi colpisce, nel mare di discorsi su questo disagio, è quella sulla sua natura di male dei nostri tempi.

Intanto, la stessa cosa si sente dire anche per la depressione, quindi viene da chiedersi quanti mali abbia il nostro tempo.

Inoltre, se davvero fosse un male dei nostri tempi allora tutti i tempi hanno avuto i loro mali quindi il mondo procede in modo del tutto naturale, un tempo c'era la peste...

Chi vuol esser più preciso dice che gli attacchi di panico hanno rilevanza statistica notevole perciò meritano tutta l'attenzione.

Purtroppo non esistono statistiche per i secoli passati ed è impossibile fare confronti per determinare l'esatta rilevanza statistica: la statistica, come metodo d'indagine, non esisteva.

Ad essere aumentati sono i rilevatori statistici, medici e ricercatori: non vorrei che all'attacco di panico tocchi la sorte della criminalità, in calo se paragonata a secoli passati ma che - amplificata dal maggior numero di fonti di informazione - sembra in aumento.

La psicopatologia odierna sta affinando i suoi criteri e suggerisce una differenza: l'attacco di panico è l'episodio connotato da certi sintomi, il disturbo da panico è la ripetizione di numerosi attacchi con una certa periodicità in un certo lasso di tempo.

Questa "creazione" del disturbo da panico è una vera e propria "magia" resa possibile dalla natura instabile del fare diagnosi.

venerdì 20 novembre 2009

la diagnosi in psichiatria: criteri e scenari possibili


La diagnosi psichiatrica è un'operazione temuta quanto attesa da chiunque decida di rivolgersi a professionisti della relazione d'aiuto.

Il tema è delicato anche per la permanente confusione dei cittadini circa i ruoli di questi professionisti.

Spesso i termini psicologo, psicoterapeuta, psichiatra, da un lato e psicologia, psicoanalisi, psicoterapia dall'altro vengono usati nel linguaggio comune quasi come fossero sinonimi.

Inoltre, sembra ancora dura a morire, nel senso comune, la falsa logica in base alla quale "se ti rivolgi a uno di questi professionisti allora sei matto" e i primi a subire il nefasto influsso di questa falsa credenza sono proprio coloro che attraversano un momento difficile e si chiedono se fare il grande passo di rivolgersi a una persona qualificata.

Chiariamo dunque che la diagnosi psichiatrica può farla soltanto lo pischiatra, cioè un medico mentre le altre figure menzionate non hanno le competenze necessarie, anche se grazie all'esperienza alcuni psicologi e psicoterapeuti non medici sono più bravi degli psichiatri nel formulare diagnosi.

Mi interessa trattare alcune questioni di metodo circa il fare diagnosi, questioni che affondano nell'epistemologia della scienza psichiatrica e della psicologia in genere.

Con quali criteri oggi è possibile formulare diagnosi?