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sabato 8 giugno 2013

Il terzo giorno è risuscitato...


 Più o meno tutti gli occidentali riconoscono questa frase come uno dei dogmi della dottrina cristiana, nelle sue varie declinazioni.

Ma non è di religione che voglio parlarti, sebbene sia mia intenzione sfruttare la suggestione di queste parole come trampolino di lancio per questo post.

Quante volte nella nostra vita abbiamo fantasticato una metaforica resurrezione da una condizione spiacevole?

C'è chi vuole smettere di fumare ma non si sente pronto.

Chi vorrebbe divorziare ma non crede di averne ancora la forza.

Chi non sopporta più il proprio lavoro e desidererebbe cambiare aria.

Queste dichiarazioni d'intento - pronunciate da noi o ascoltate da altri - più volte si affacciano nell'arco di una vita.

Peccato che, messe così, sono soltanto dimostrazioni di inerzia, di una distanza quasi incolmabile tra l'idea del cambiamento e la sua realizzazione.

Perché è così difficile mettere in atto i cambiamenti dei quali sentiamo il bisogno?

Se una persona giudica inaccettabile la situazione in cui si trova e riesce a vedere che cosa potrebbe cambiare, perché non lo fa e basta?

Forse la chiave sta proprio in quei tre giorni.

Credi che ti basteranno per risuscitare?

mercoledì 1 maggio 2013

Quando il gioco si fa duro...

Un uomo - ma potrei dire una donna - lascia il suo ufficio - o qualsiasi altro posto di lavoro - dicendo al suo capo o ai suoi colleghi che deve sbrigare importanti faccende familiari.

In realtà, usa le ore restanti della giornata a caccia di emozioni rischiose.

Non è la prima e unica volta.

Trova sempre l'occasione per fare giochi d'azzardo: acquista biglietti di lotterie istantanee o a estrazione, scommette su eventi sportivi, carica e scarica la carta di credito fatta apposta dallo Stato, e se ha internet si concede anche qualche gioco online.

A poco a poco, il gioco d'azzardo diventa l'obiettivo principale delle sue ore del brivido.

E le bugie su dove va e su dove finiscono i suoi soldi aumentano a dismisura.

Il suo comportamento sembra indicare un disturbo ossessivo compulsivo che, come una spirale fuori controllo, lo porta ad abusare della fiducia di familiari e conoscenti, rovinando la sua posizione e il suo futuro.

Se questo comportamento sia davvero patologico - come affermano nell'ultimo DSM - richiede le classiche molle, prima di dirlo.

venerdì 26 aprile 2013

Ah, felicità...


 ...su quale treno della notte viaggerai...

Così recitava cantando Lucio Dalla, facendo riecheggiare una domanda ultramilleniaria che non ha alcuna intenzione di diventare obsoleta.

Per chi lavora nel mondo delle compravendite, la felicità sta nei prodotti, quelli del supermercato che risultano deliziosi al gusto, o quelli finanziari che promettono di riempire il tuo conto in banca, o ancora quelli estetici che ti assicurano di trasformarti in una super top model.

Le norme sociali garantiscono che la felicità è nello status, nei risultati, nelle relazioni, nelle proprietà.

Ma anche noi non scherziamo, a metterci del nostro e cerchiamo sempre la prossima cosa che ci renderà felici.

Hai il compagno ideale?

Allora ci vuole la casa ideale.

L'hai trovata?

Cerca subito quella più grande, e poi l'auto nuova, la promozione, l'investimento per smettere del tutto di lavorare.

La terra promessa della felicità non smette di allettarci e nessuno si chiede se sia reale o solo un miraggio.

L'idea grossolana che una grossa vincita o un grave incidente portino di necessità a una grande felicità o alla disperazione non sta in piedi, se andiamo a osservare da vicino la vita di molti di quelli che la lotteria l'hanno vinta davvero o le gambe le hanno perse sul serio.

La felicità non sembra stare a suo agio nei beni, nelle relazioni o nei risultati, quanto piuttosto nel dare.

Un dare che non è fatto solo di oggetti materiali, ma che si declina in altre forme di donazione: tempo, amore, noi stessi.

Non possiamo essere felici con un atto di volontà, poiché la felicità è un sentimento risultante da un processo di vita.

Possiamo però essere altruisti e compassionevoli, per scoprire tutti gli enormi vantaggi del mettere il naso al di fuori dei nostri piccoli egocentrismi.

Quali sono dunque i vantaggi di un atteggiamento compassionevole?

domenica 21 aprile 2013

Autismo: cura o rispetto?


 Quali prospettive possiamo offrire per chi riceve una diagnosi di disturbi dello spettro autistico e per il loro familiari?

Anche se ci piace giocare con le parole, e da handicap siamo passati per disabilità fino ad arrivare al diversamente abile, di fatto non è cambiato granché, anche se proprio gli autistici sono gli unici a rientrare perfettamente in quest'ultima definizione.

Poiché l'autismo, più di ogni altra manifestazione considerata patologica, sfugge al meccanismo classico della medicina, ossia trovare le cause per intervenire sugli effetti, la società rivela tutta la sua inadeguatezza rispetto al fenomeno.

Molti programmi per l'autismo oggi contengono un non detto deleterio: cerchiamo di cambiare la sua condizione e di renderlo sempre più somigliante a una persona con funzionamento tipico, e già questa perifrasi la dice lunga.