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giovedì 5 luglio 2012

Psicologia vs. Counseling: galli da combattimento

Il tribunale di Milano prima e la corte d'appello del capoluogo lombardo poi hanno stabilito che in base all'articolo 21 del codice deontologico degli psicologi questi ultimi non possono insegnare la conoscenza e l'uso degli strumenti della professione a chiunque non sia già psicologo o non stia seguendo la formazione necessaria a diventarlo.

Questo significa che tutte le scuole di formazione in counseling, ma anche in mediazione familiare e altre forme d'aiuto alla persona, espongono gli psicologi che le hanno fondate e che vi insegnano al rischio radiazione.

Così l'ordine degli psicologi della Lombardia, con altre associazioni alleate, spera di frenare la diffusione del counseling, sia come esperienza formativa, sia come figura professionale alternativa allo psicologo.

Questi i fatti.

Oltre i fatti, come sempre, ci sono i retro-fatti e le interpretazioni.

Cerchiamo di capirci qualcosa.

L'articolo 21 del codice è chiaro:

Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche.

Le due sentenze ribadiscono la necessità del rispetto di quest'articolo, per non incorrere nel rischio-radiazione dall'albo.

Poiché però l'ordine degli psicologi adesso cavalca questo risultato vincitori trionfanti, comincia anche a spararle più grosse di quanto in realtà siano i fatti.

I giudici non hanno in alcun modo invalidato la professionalità del counselor, anzi, in un passo della prima sentenza prendono in considerazione il diritto a svolgere una professione non regolamentata come quella del counselor.

I giudici riconoscono la necessità di rispettare alcune delibere dell'ordine degli psicologi, nelle quali si afferma l'incongruenza tra il favorire la formazione psicoterapeutica, lunga, faticosa e costosa, e contemporaneamente consentire l'ingresso nel mercato di figure alternative, formate con minor dispendio di risorse, come i counselors.

I giudici fanno riferimento ovviamente alla legge 56/89 anche se, nel citarla, preferiscono adottare i riassunti comodi fatti dall'ordine degli psicologi.

Nelle loro delibere, infatti, gli psicologi dell'ordine fanno un'insalata unica, dichiarando che la formazione dello psicologo - la quale prevede esclusivamente la laurea - richiede la scuola di specializzazione nonché la supervisione da parte di uno psicoterapeuta (ma questi sono i criteri della formazione psicoterapeutica, non psicologica!).

Riguardo alla supervisione - che è l'unica garanzia per i clienti di non trovarsi davanti un pazzo mascherato da professionista - è bene ribadire che gli psicologi non sono tenuti a farla, mentre i counselor - in base ai criteri di qualità stabiliti dalle associazioni di counseling - sì.

È il caso di ribadire allora che la legge 56/89 che regolamenta la professione dello psicologo - professione non regolamentata fino ad allora e tuttavia  svolta già da anni (proprio come quella del counseling), che ha ricevuto regolamentazione proprio grazie alle spinte dei professionisti, e  ha visto diventare psicologi anche i sociologi! - fa una netta distinzione tra la professione dello psicologo e quella dello psicoterapeuta.

L'articolo 3 specifica in modo chiaro che lo psicoterapeuta prosegue i suoi studi con una scuola quadriennale di formazione - nella quale viene obbligato a una supervisione psicoterapeutica - e l'articolo 35 precisa che i laureati fino al 1993 possono esercitare la professione psicoterapeutica presentando la documentazione necessaria a dimostrare la loro competenza, documentazione che comunque l'ordine deve convalidare.

Dunque, gli psicologi, per scongiurare la concorrenza di una formazione altamente professionalizzante come quella del counseling, e seria, dato che richiede supervisione, sono riusciti a trovare l'inghippo nell'articolo del loro codice, così da oggi in poi sperano di debellare il fenomeno.

Nel frattempo, sempre gli stessi hanno istituito una categoria B di psicologi, in pratica gli studenti di scienze psicologiche con laurea triennale.

Ciò che viene tolto ai counselors viene dato a persone che hanno studiato di meno, in un sistema universitario che regala le lauree, e che non sono obbligate a sedersi nemmeno una volta davanti a uno psicoterapeuta per capire se 'sta professione la possono fare o no.

Auguri a tutti i pazienti!

1 commento:

  1. Che tristezza quando il benessere e la salute passano in secondo piano rispetto agli interessi delle categorie medico/sanitarie...

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