Quante volte hai visto su giornali, riviste, siti e social network la classica serie di consigli per migliorare qualcosa della tua vita?
E non parlo solo di aspetti pratici o materiali, come organizzare gli armadi o perdere peso.
Si tratta quasi sempre di liste o elenchi di dritte per aggiustare qualcosa che ha a che fare con la mente e il cuore, con i pensieri e le emozioni.
E tra tutti i temi uno dei cavalli di battaglia è la comunicazione.
Peccato che tra tutte le liste di consigli in circolazione proprio quelle per comunicare meglio funzionino peggio o per niente.
Infatti, anche se corredate da presunte evidenze scientifiche - che ovviamente sono sempre inattendibili perché parziali e di parte - si concentrano su ciò che diciamo e sull'ascolto di ciò che dicono gli altri.
In pratica, sulle parole o - quando ci va bene - sul processo che ci porta a formare le frasi da dire o per decodificare il messaggio altrui.
Messe così, queste dritte sono belle storte: infatti, il novanta per cento delle impressioni che influenzano il nostro stare in una relazione comunicativa sono determinate da fattori non verbali che si formano prima ancora che le parole dell'altro abbiano toccato l'area del nostro cervello adibita alla loro comprensione.
Cioè noi non ascoltiamo e quando lo facciamo siamo già sotto l'effetto di un pre-giudizio costruito quasi automaticamente dalle nostre percezioni.
Questa discrepanza si riverbera poi nello scambio di parole effettivo, in uscita e in entrata.
Trovi che l'altro abbia detto qualcosa di sciocco ma cerchi un modo di dirglielo senza urtare i suoi sentimenti, il che pone problemi di congruenza con i tuoi, di sentimenti, oltre che aprire la spinosa questione di quanto in quel momento sei disonesto e manipolativo evitando la piena verità.
Se poi sei tu a sentire che l'altra persona sta applicando una qualche tecnica per addolcire la pillola e hai la capacità di accorgertene, questo non ti rassicura, non ti fa sentire che l'altro sta avendo cura di te, anzi, ti senti psicanalizzato, messo a distanza, vivisezionato come una cavia da laboratorio, perché tu hai aperto verso una comunicazione senza difese mentre l'altro fa il dottor Freud di turno.
Se proprio siamo a caccia di consigli utili sulla comunicazione, dovremmo riflettere non tanto su come attuarla quanto sugli obiettivi perseguiti.
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domenica 10 maggio 2015
Comunicazione interpersonale: bada a come parli, ma soprattutto al perché
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domenica 6 aprile 2014
Apostasia di un comunicatore consapevole
L'isola di Wight
Avrei potuto dire utopia, o terra promessa, paradiso perduto.
Quei luoghi o quei mondi più o meno possibili che abbiamo agognato durante la nostra formazione e la nostra crescita.
In campo psicologico, sicuramente per me l'universo dell'approccio umanistico, e della psicologia centrata sulla persona sono stati la mia isola di Wight, un'isola sulla quale non posso dire di non essere approdato, ma che si è mostrata piuttosto diversa da come le carte mi indicavano.
Durante il mio apprendistato rogersiano, fui molto colpito dal lavoro di Thomas Gordon con le sue dritte su come essere efficaci, insegnanti efficaci, genitori efficaci, quel-che-ti-pare-efficaci, tanto da essere preso in giro da un collega che si occupava di fotocopiarmi i testi e che mi chiedeva ironicamente se fossi interessato a un libro sui fotocopiatori efficaci e giù di lì.
Gordon, come Carkhuff, fa parte della generazione successiva a quella di Rogers, e tra la prima e la seconda ci passa la stessa differenza che c'è tra Socrate e Platone, o tra Gesù e San Paolo, tanto per capirci senza troppi fronzoli.
Apprezzabili sia i primi che i secondi, per diversi motivi, ma molto, troppo diversi.
Una psicologia, quella post-rogersiana, che in Italia è arrivata con quindici-vent'anni di distanza rispetto agli Stati Uniti, e che appunto al suo arrivo da noi raggiunse il suo massimo picco, nei suoi aspetti positivi, cioè il suo carattere popolare e pratico, e nelle sue pecche, cioè l'eccesso di sentimentalismo e di difficoltà nel metterla in atto.
Uno dei capisaldi del sistema di Gordon è quella tecnica tristemente tradotta in italiano con la definizione di io messaggio (questo perché nella nostra lingua messaggio è sia il nome che la prima persona singolare dell'indicativo presente di messaggiare, sebbene quest'ultimo sia un neologismo dell'era del cellulare): non si dovrebbe dire ti spiacerebbe portare fuori la spazzatura, ma bisognerebbe prendersi la responsabilità delle proprie preferenze e dire invece mi piacerebbe che tu portassi fuori la spazzatura.
Sto calcando la mano e le cose non sono mai così nette.
Ma che molti conoscitori di Rogers e Gordon ne abbiano approfittato per arrivare a simili assurdità è un dato di fatto.
E magari il problema fosse solo la spazzatura, per la quale basterebbe segnare su un foglio i turni di trasporto.
Diverso è quando si tratta di scegliere tra il dire tu sei egoista e il dire mi sento messo da parte.
L'assunto di base è che noi non possediamo un'autorità scientifica per poter dire a qualcuno se sia o meno egoista, possiamo essere sicuri solo di ciò che sentiamo, e questa è la sola cosa sulla quale poter accampare una certa autorità.
I più scaltri hanno colto sin dal primo momento la magagna dell'io messaggio, con battute del tipo io sento che tu sei egoista, come se l'io sento di partenza costituisse un viatico per dire tutto.
Insomma, l'io messaggio fa presto a diventare una scorciatoia, conscia o inconsapevole.
Il punto è allora duplice: perché cerchiamo delle formule per comunicare efficacemente, e se esse funzionino davvero del tutto o invece celino delle magagne.
Per scoprire delle possibili risposte, dobbiamo fare qualche passo nella natura intricata e affascinante del linguaggio verbale.
lunedì 6 giugno 2011
La verità mi fa male, lo so!
Quasi tutti i manuali sul linguaggio del corpo in vendita nelle librerie hanno titoli che promettono al lettore di imparare a stanare chi mente.
In effetti, tra il verbale e il non verbale si può creare una tale dissonanza che la menzogna diventa chiara come il sole.
Proprio di questo parlavo in Linguaggio non verbale: silenzio, parla il corpo!, ma oggi voglio integrare questa sorta di minitraining su come beccare in flagrante i bugiardi con l'aiuto di R. Edward Geiselman che ha studiato stavolta i segni verbali riscontrabili nei mentitori.
Se stai parlando con il tuo partner, tuo figlio, un collega, e ti accorgi che si esprime mettendo in atto questi comportamenti, fai molta attenzione perché le probabilità che tu stia ascoltando frottole sono alte.
Il professor Geiselman, da bravo scienziato, ha inventato anche la controprova alla quale sottoporre il sospetto mentitore, per avere la conferma definitiva della sua malafede.
Quali sono i segnali di chi ha difficoltà a dire la verità?
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giovedì 1 aprile 2010
Linguaggio non verbale: silenzio, parla il corpo!
In un recente spot pubblicitario di un farmaco da bancone, il testimonial alla fine dice che il medicinale potrebbe avere effetti collaterali indesiderati, una cosa non proprio divertente, ma mentre parla sfoggia un sorriso deciso da top manager e accentua con fare assertivo il minaccioso messaggio.
A parole dice una cosa, ma con il corpo e con la voce la contraddice.
Ora, è vero che il foglietto delle indicazioni di un medicinale si chiama bugiardino, però non avrebbero dovuto prenderlo alla lettera...
Da un simile filmato ci si rende conto di quanto il linguaggio verbale e non verbale siano intrecciati nei messaggi che ci mandiamo, l'uno sostiene l'altro e appena uno dei due cade in fallo ecco che il messaggio "stona" e noi sentiamo qualcosa che non quadra.
Il linguaggio non verbale addirittura è protagonista di una serie televisiva di successo, Lie to me, in cui gli agenti di un'agenzia investigativa scoprono verità e falsità degli indagati analizzando il loro comportamento in termini di prossemica, cinesica e semiotica e pare che gli autori si siano ispirati al lavoro di Paul Ekman, lo psicologo "inventore" del FACS, il Sistema di Codifica delle Espressioni Facciali.
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