Suscita molto scalpore il fenomeno dei suicidi causati da problemi economici e sembra innegabile il legame tra l'inasprimento della crisi, il peggioramento delle condizioni di vita e l'estremo atto di molti, saliti alla cronaca negli ultimi mesi.
Una domanda ovvia ha occupato l'interesse dell'opinione pubblica: la crisi sta davvero ammazzando le persone, portandole a togliersi la vita?
Per molti cittadini la risposta è un netto sì, perché sotto pressione c'è bisogno di individuare un colpevole.
Noi, poi, siamo il paese che cerca i colpevoli di un terremoto e non si preoccupa della colpa più grave, cioè lasciare in completo abbandono chi quel terremoto l'ha subito come vittima, permettendo ad alcuni di specularci anche.
Torniamo però al tema del post.
È chiaro che il sì delle persone è piuttosto umorale, così non sono mancate precisazioni da parte di chi ha voluto vederci più chiaro.
Dall'Istat arrivano dati che costringono a riflettere meglio prima di dare per scontata la correlazione tra crisi e suicidi.
Dagli ultimi rapporti, e dal commento del responsabile Stefano Marchetti, emerge un'altra verità: non solo i suicidi sono in media gli stessi degli ultimi anni - l'analisi retrocede fino a otto anni fa, ma tiene conto anche di annate più antiche - ma osservando i possibili moventi riscontrati dalle forze dell'ordine, i suicidi per gravi disagi economici a stento arrivano al 6 %.
Fin qui, la cronaca.
Sto scrivendo questo post perché ho discusso dell'argomento e ascoltato i discorsi di diverse persone, e ancor prima di prendermi la briga di controllare le statistiche mi sono detto convinto che i suicidi non siano in aumento, prescindendo dalle motivazioni.
Oltre all'approccio scientifico, che prevede il controllo dei dati, per rispondere alla domanda sul possibile aumento dei suicidi, si può ragionare anche in termini psicologici.
Il suicidio, infatti, non è un virus, che può colpire chiunque.
Si tratta pur sempre di una risposta adattiva, anche se in realtà manifesta un disadattamento, tuttavia il meccanismo è lo stesso.
Questo vuol dire che il suicida, molto probabilmente, ha già caratteristiche predittive nel suo quadro di personalità, ed è ovvio che, in media, le persone con un sistema reattivo potenzialmente autolesivo sono più o meno le stesse.
Sebbene nell'opinione comune si pensa che una persona giunga al limite delle sue possibilità, dopodiché faccia la scelta di togliersi la vita, quasi ogni approccio psicologico ritiene invece che il movente del suicida sia solo manifesto, mentre motivazioni latenti ben più forti stavano agendo già da tempo.
Che egli trovi nella crisi economica il motivo per dare la stura al suo disagio personale non vuol dire che sia colpa della crisi economica.
La lettura del fenomeno è senz'altro più complessa di quanto io riesca in queste poche righe a delineare, ma non merita di essere terribilmente semplificata addossando la colpa alla crisi economica, altrimenti non riusciremmo a spiegare come mai i suicidi si equivalgano di anno in anno, in termini numerici.
Riflettiamo anche su questi altri punti.
Il movente più diffuso per i suicidi è la fine di una relazione, ma siamo al di sotto dei 350 suicidi annui rispetto a un fenomeno - la rottura amorosa - enormemente più diffuso.
Consideriamo poi che la maggior parte dei suicidi per amore è attuata da crisi di coppia senza strascichi stressanti, cioè senza figli, separazioni, alimenti da passare e altri fattori che - secondo la vulgata - acuirebbero il disagio fino a portare all'autodistruzione.
Emergerebbe, a questo punto, un'altra domanda: come mai chi è più pressato dai fattori esterni si suicida meno degli altri?
Ma il suicido dipende da come uno vive la propria situazione, si dirà.
Se si afferma questo, allora non è la crisi in sé a generare il fenomeno, ma ovviamente l'interpretazione che il suicida ne dà.
Un esempio analogo è nella nostra recente storia: nel periodo di mani pulite, il suicidio di Cagliari è forse l'unico accertato, mentre si dubita (poco) su quello di Gardini e (moltissimo) su quello di Castellari.
Se però pensiamo al capovolgimento delle condizioni di vita dei politici dell'epoca, avremmo dovuto avere un'autoeliminazione di massa (qualcuno l'auspicava, forse) ma così non fu.
Infine - e qui statistica e psicologia vanno a braccetto - è ampiamente dimostrato che nei periodi di crisi, anche più acute di quella economica, come durante le guerre, l'intero quadro del disagio psichico retrocede enormemente, come se le persone, sottoposte a forti pressioni dal destino, riuscissero a tirar fuori inusitate capacità di resistenza.
Detto questo, uno Stato non può abbandonare i propri cittadini né chiudergli in faccia le porte dell'ascolto.
Proprio perché forse i suicidi non sono generati dalla crisi, ma perché la crisi può far scoppiare tendenze autodistruttive latenti, lo Stato ha il dovere di tutelare l'equilibrio psicologico di tutti, lavorando per la sua dignità, come del resto afferma l'articolo 3 della nostra Costituzione:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
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