Una risposta pratica
Saper impiegar bene il proprio tempo.
Questo è tutto.
Dopo secoli di dibattiti filosofici e ricerche di elisir o ricette per la felicità, l'elemento prevalente appare in tutta la sua evidenza.
Il tempo domina gli aspetti del vivere odierno almeno in due modi.
Primo, non c'è più una netta divisione tra tempo del lavoro e tempo libero.
Oggi aspiriamo a una attività che ci diverta, ci stimoli, ci rilassi, non ci stressi, ci distenda e ci svaghi.
Riuscire a realizzarla, naturalmente, è tutto un altro paio di maniche.
Secondo, anche nel modo in cui riceviamo le informazioni, il tempo influisce in maniera pesante.
Non siamo più nemmeno nell'era dei nuovi media, che aumentano la quantità di informazioni in arrivo.
Le informazioni sono così numerose che in realtà non ci resta tempo per esaminarle.
Per questo da un po' di tempo si è affacciata questa nuova parolina inglese, smart, intraducibile in realtà, perché vuol dire sia veloce, sia facile, sia intelligente, sia di tendenza.
Bisogna essere smart, scaltri nel selezionare in un batter d'occhio le informazioni utili e scartare la zavorra.
C'è un tempo per...?
Cercare di usare bene il proprio tempo serve a raggiungere scopi intermedi tra dove siamo ora e dove immaginiamo sia la nostra felicità.
Salute, svago, ricchezza, prestigio.
Da questi scopi intermedi dovremmo approdare alla sensazione di essere felici.
Una sensazione simile alla bellezza, dove proprio lui, il tempo, il pungolo dei nostri giorni, scompare e domina l'armonia.
Ma per arrivarci ci sono un po' di cose da fare.
Siamo quello che facciamo?
Benjamin Disraeli affermava:
forse l'azione non porta sempre la felicità, ma non c'è felicità senza l'azione.
La dimensione del fare, dell'agire, può essere una "porta" per entrare nella nostra felicità.
Per qualcuno, l'accostamento tra la felicità e il fare suonerà strano.
Ma felicità=disimpegno è un'equazione che non ha mai funzionato bene.
In realtà, ciò che ci soddisfa è spesso frutto di notevoli sforzi.
E non ci stanca mai: possiamo ripetere gli stessi sforzi senza perdere interesse per quello scopo.
Perché la sensazione alla quale approdiamo è impagabile.
Invece, ciò che ci diverte, ripetuto alla lunga, può generare una noia mortale, in tutti i sensi.
Un vuoto.
E ora...
Il pentalogo della felicità
- Avere qualcosa da fare: siamo fatti per interagire col mondo attraverso i sensi, per questo l'inattività a lungo andare non ci soddisfa, né quella fisica né quella mentale, vogliamo anche pensare e immaginare il domani.
- Avere diverse opportunità e selezionarne una: ogni nuova iniziativa è un piccolo o grande salto nel buio, perciò scegliere in quale buio ficcarsi è meglio che accettare a scatola chiusa, ma le opportunità non sempre arrivano da sole e a volte bisogna andarsele a cercare.
- Avere qualcosa da fare che sia una sfida e nello stesso tempo non sia utopia: se troppo facile, la nostra attività ci farà retrocedere nella zona demotivante e apatica dell'automatismo, se troppo ardua, potrà demoralizzarci e stressarci, perciò méson te kai àriston, come dice Aristotele, stare nel mezzo è la cosa migliore.
- Avere qualcosa da fare che produca un risultato definito e misurabile: se ciò a cui ci dedichiamo prevede un obiettivo preciso, sarà motivante immaginarlo mentre ci lavoriamo, e se lascia un segno tangibile, il nostro livello di felicità salirà perché quel risultato terrà in vita la sensazione piacevole di averlo raggiunto.
- Avere qualcosa da fare che conosciamo bene: diventare bravi vuol dire non solo aver raccolto una gran quantità di informazioni su ciò che facciamo, ma anche aver imparato come procurarcele, e la felicità che ne consegue è quella di chi si sente sicuro di sé e delle sue risorse non solo per i risultati del presente, bensì anche per quelli a venire.
Grande Sergio
RispondiEliminapensieri veri e profondi quoto in pieno!
Cristina
molto bello sergio
RispondiEliminamolto profondo
ti consigli di trasferire dominio su uno di primo livello