Il perfezionismo è una vocazione ad auto-tormentarsi.
Perché la perfezione - come si dice? - non è di questo mondo e spesso anche le pretese più mondane sono piuttosto distanti da dove realmente possiamo arrivare.
Chi gioca ad auto-tormentarsi in genere vive questo meccanismo in modo coatto: proprio quando pensa di esserne uscito ci si ritrova di nuovo dentro fino al collo.
Perché pensare di arrivare "lassù" è allettante, sebbene sia fuorviante.
Fare il confronto tra sé e l'idea di perfetto è come avere un flagello sempre a portata di mano con cui straziarsi l'anima.
Il perfezionista usa la disapprovazione e generosamente la dispensa anche agli altri.
E non smette mai perché il "perfetto" a cui anela è irrealizzabile, perciò l'occasione di fare da aguzzino è sempre prossima.
Le due anime del perfezionista sono sempre in lotta, ma è una finta lotta perché in realtà hanno bisogno l'una dell'altra.
L'aguzzino si proclama integerrimo e usa il dispotismo.
Pensa di detenere la verità e anche quando ce l'ha butta tutto al vento per confermare il suo potere assoluto.
Il verbo dovere è la pietra angolare della sua costruzione.
Tra continue richieste e intimidazioni induce l'altra metà dell'anima a inseguire risultati impossibili, altrimenti perderà l'amore, la stima, la dignità.
L'oppresso non deve impietosirvi, anzi, è il suo scopo.
Utilizza scusanti, piagnucola, è ossequioso ma tutto per tenere a bada l'aguzzino - o gli altri.
Il suo non riuscire, anche se giustificato dalle pretese impossibili dell'aguzzino, è caricato.
L'eccesso delle richieste giustifica il suo non farcela, il suo non riuscire, e gli offre sempre l'occasione di discolparsi, di scaricare la responsabilità su eventi esterni, sulla sua mancanza di forza, o sugli altri.
Infatti, l'aguzzino in realtà non prevale mai sull'oppresso, perché questi si sottomette prima di soccombere.
E così il gioco ricomincia.
Cosa c'è in gioco?
La padronanza della persona in cui le due anime albergano.
Così questa persona spaccata assiste inerme allo scontro tra sorvegliante e sorvegliato.
Aguzzino e oppresso - questa è la chiave - impediscono alla persona di realizzare sé stessa, tirandola ora da una parte e ora dall'altra.
Ma c'è un'enorme distanza tra essere quello che si è e voler essere qualcuno.
La nostra identità può realizzarsi se le permettiamo di venir fuori interagendo con la vita senza cercare di tenerne il controllo a tutti i costi.
Perché dove c'è controllo non c'è fiducia in sé.
Nessun commento:
Posta un commento