La mente in relazione
Negli anni cinquanta del Novecento avvenne la rivoluzione della Scuola di Palo Alto in California.
Per la prima volta la psicologia cercava di affermare il diritto del paziente ad affrancarsi dal passato e diventare protagonista della sua guarigione e il diritto del terapeuta a curare in modo attivo e influenzare il cambiamento nel paziente.
Ma cosa c'era prima di questo stravolgimento?
C'era una volta l'inconscio
Sembra la solita ironia del destino, ma i membri del gruppo di Palo Alto furono - senza saperlo - tra i più scrupolosi seguaci di Freud.
Il fondatore della psicoanalisi, infatti, aveva ampiamente sottolineato ne L'interpretazione dei sogni e nell'Introduzione alla psicoanalisi l'importanza della relazione con i genitori e la necessità dei terapeuti di occuparsi - prima o poi - delle famiglie e dell'ambiente sociale.
Il problema era non tanto Freud ma il freudismo o freudianesimo che dir si voglia.
La mente per Freud è sentimentale, una mente che "scrive" nella memoria il "diario" degli scambi affettivi con i propri cari, una mente in cui si dispiega il "romanzo" della vita del paziente a cui resta soltanto la possibilità di diventare il massimo studioso della sua stessa opera.
Ma il paziente del freudismo è autore di sé stesso solo a metà: egli si rende conto - col passare del tempo - di aver aggiunto "nuovi capitoli" ma non ha la più pallida idea di quando li ha scritti, perché a prendere in mano la penna è il suo inconscio, il ghost writer di sé stesso.
Lei non sa chi sono io!
La differenza che fa la differenza - tanto per citare il "vate" della Scuola di Palo Alto, Gregory Bateson - fu nel concepire la mente come il processo con cui l'uomo tenta di definire la propria identità.
Ma l'identità non è più la somma delle influenze subite da genitori e altri adulti importanti.
Per quelli di Palo Alto l'identità viene continuamente negoziata tramite le regole della relazione con l'obiettivo di vedere confermata - da parte degli altri - l'idea che abbiamo di noi stessi.
Così nella relazione possiamo
- essere per qualcuno, cioè l'altro riconosce i segnali che noi gli mandiamo e li accetta
- permettere a qualcuno di essere per noi, cioè accettare in una data misura di acconsentire a come l'altro si sta definendo ai nostri occhi
- scambiare qualcosa, ossia entrare in relazione accettando la regola del do ut des
- segmentare il tempo in scambi relazionali, vale a dire fare un po' per uno nel dare e ricevere, nel chiedere e rispondere, nell'agire e reagire
- cambiare la relazione, che significa cambiare noi, chiedere all'altro dei cambiamenti, cambiare entrambi, addirittura chiudere la relazione
la mente è un work in progress
Io trovo l'idea di Palo Alto ancor più "definitiva" di quella psicoanalitica o comunque di vecchia scuola.
Non credo, come afferma la vulgata della scuola californiana - perché, ahimé, esiste una vulgata anche di quella, vedi PNL e altri bulletti del quartiere! - che la mente relazionale abbia liberato l'essere umano dalle grinfie dei genitori simbolici di Freud.
Credo invece che l'insegnamento di Bateson, Jackson, Beavin, Haley, Fry - forse ne dimentico qualcuno ma non li dimentico tutti i giorni al lavoro - ci richiami tutti alla responsabilità quotidiana - incessante, direi! - di autodefinire la nostra identità attraverso il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.
Dall'inconscio all'Antinferno
Le relazioni diventano allora davvero significative, perché vitali per il senso della nostra vita.
Scegliere con chi vivere è ancora più importante di quando ci toccava vivere con qualcuno che ci era capitato per caso.
L'inconscio non c'è più ma c'è ancora il rischio dell'ignavia.
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