La scienza sa spiegare la nostra vita quotidiana?
Ne è convinto Bruce Lipton, pioniere dell'epigenetica, che a partire dalle sue ricerche presso la School of Medicine della Stanford University più di trent'anni fa sta portando nel mondo la nuova visione della scienza d'avanguardia: le percezioni controllano i geni.
Questa affermazione ha fatto vacillare diversi punti fermi:
- la materia è l'unica cosa che la scienza è tenuta a studiare
- i geni determinano carattere e comportamenti, anche quelli dannosi
- l'evoluzione umana, come dice Darwin, si basa sulla sopravvivenza dei più forti
Fatti non foste a viver come bruti
Da Newton in poi la scienza invita a non tenere conto dell'influenza di forze invisibili e solo nel ventesimo secolo i fisici hanno iniziato l'affascinante avventura per dimostrare che Einstein aveva ragione quando affermava che materia ed energia sono la stessa cosa.
La fisica quantistica infatti spiega come le onde di energia "collassino" in particelle che danno forma al mondo solo se la nostra percezione si concentra su qualcosa: in questo momento scrivo e non vedo cosa c'è alle mie spalle ma secondo la fisica dei quanti non c'è nulla di definito e solo quando mi volterò le onde diventeranno parte della stanza in cui lavoro.
Il punto è: quelle onde che diventano particelle assumono sempre le stesse forme o la mia aspettativa di trovare di nuovo la mia stanza uguale a prima condiziona la loro organizzazione formale?
Qui si entra nel terreno delicato in cui scienza e spirito si toccano ma alcuni fisici, come già Fritjof Capra negli anni settanta, sono convinti che tra le dottrine spirituali e la fisica ci sia molta più corrispondenza di quanto si possa credere.
140.000 proteine sotto i geni
Da molto tempo la psicologia tiene conto dell'embriologia e del sistema di classificazione chiamato somatotipo.
Così sappiamo che la prima cellula umana ha tre strati, il più interno forma gli organi viscerali, quello intermedio ossa e muscoli, quello esterno cervello e sistema nervoso.
Se uno dei tre strati si sviluppa di più la persona avrà un corpo e un carattere in linea con la parte più sviluppata.
Lipton si è chiesto come mai 140.000 proteine - quelle del corpo umano - potessero essere prodotte da solo 25.000 geni, quando l'obiettivo del progetto genoma era dimostrare che per ogni gene ce n'è una?
La risposta è illuminante: i geni sanno produrre diverse proteine a seconda del comando ricevuto dalla cellula in cui stanno.
Cosa spinge la cellula a dare determinati comandi ai geni?
Lipton ha scoperto che il comando per il gene parte dalla membrana della cellula quando essa viene "toccata" da un segnale e che questo segnale può provenire anche dalle nostre percezioni, ossia dalla nostra relazione con l'ambiente: ciò che arriva ai nostri sensi e ciò che ne pensiamo determina l'azione dei nostri geni e non il contrario.
Il centro di comando della cellula dunque è la membrana, la parte esterna, come nella teoria del somatotipo dove lo strato esterno della cellula umana genera il cervello.
L'importante è cooperare
Proprio il fatto che le cellule "pensino" con la membrana ha conseguenze anche nel nostro mondo di organismi pluricellulari.
Intanto, che le cellule si siano aggregate in organismi, secondo Lipton, significa che esse hanno compreso l'importanza della collaborazione, così noi siamo una comunità di cellule che cooperano.
L'evoluzione, dunque, sarebbe il frutto di una ricerca continua delle cellule per approdare a sistemi di cooperazione migliori e non una lotta fratricida per la sopravvivenza dell'organismo più forte.
In base allo stesso principio, gli esseri umani si aggregano tra loro formando comunità e dovrebbero seguire ancora questo principio e costituire comunità di comunità, creando una cooperazione planetaria non solo tra aggregati umani ma tra comunità umane e ambiente.
Per Lipton l'idea darwiniana della sopravvivenza del più forte è fuorviante e ha spinto gli uomini alla ricerca di sistemi per dominare il mondo circostante.
Prima di Darwin invece Lamarck aveva già affermato l'importanza di cooperare con l'ambiente e che i problemi per il genere umano sarebbero venuti proprio dalla voglia di essere più forti degli altri e del mondo ed è sotto gli occhi di tutti chi aveva ragione.
Penso, dunque sono... al punto di partenza
Le ricerche di Lipton danno un colpo anche a una parte delle scienze spirituali e al brulicante mondo del benessere che afferma l'importanza del pensare in positivo.
La parte arcaica del cervello è in grado di far funzionare il corpo in modo automatico, riflesso, allo scopo di sopravvivere: questa modalità di funzionamento è detta indifferentemente subconscio o inconscio.
Solo nella corteccia, una minima parte del cervello, risiede la nostra capacità di controllare in modo conscio il nostro comportamento.
Se la parte conscia spinge in una direzione diversa dalla parte inconscia - per esempio se la parte conscia volesse compiere un atto di coraggio ma la parte inconscia teme quell'azione - si genererà un conflitto che quasi sempre vedrà vincere il subconscio e ci lascerà in una profonda frustrazione.
Il subconscio vince perché governa la maggioranza assoluta dei nostri comportamenti quotidiani e noi non ce ne rendiamo neanche conto.
Perciò, pensare in positivo, ripetersi come dei mantra delle frasi automotivanti, porsi degli obiettivi funziona solo se subconscio e conscio sono sulla stessa linea.
Più i nostri pensieri positivi contrasteranno con i riflessi contenuti nel subconscio, più questo si difenderà spingendoci ancora di più nei "soliti" comportamenti dannosi.
Non è il pensiero positivo a poterci aiutare ma l'attenzione, l'osservazione continua dei nostri comportamenti.
Come il vaccaro sorveglia la sua mandria, dobbiamo avere attenzione costante ai nostri pensieri e alle nostre azioni e non dimenticarcene mai.
Questo non lo ha detto Bruce Lipton ma Siddhartha Gautama, il Buddha.
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