I pranzi e le cene dominano questo periodo di feste.
C'è stato il pranzo di Natale - e per alcuni anche la cena della vigilia - seguito dal pranzo a S. Stefano - perché è festa e quindi non vuoi pranzare alla grande anche il giorno dopo? - e dietro l'angolo ci aspetta il cenone di Capodanno.
Senza contare le cene, le feste, le riunioni, gli aperitivi, le occasioni di rivedere parenti, amici e conoscenti e salutarli tra una tartina e un pasticcino, tra bollicine e gran riserve.
Sedersi a tavola - in tutte le sue varianti - è ancora il rituale irrinunciabile degli esseri umani, radicato nella funzione vitale più materiale che ci contraddistingue: nutrirsi.
Certo, per coloro che vivono il mangiare come attività attraverso la quale scaricare preoccupazioni, agitazione, irrequietezza - e che si trovano poi a combattere con sovrappeso, difficoltà metaboliche o meccanismi di dipendenza - le feste sono come un campo minato: di fronte al corteo di portate e alla voce dei commensali che invita ad assaggiarne "almeno un poco" sembra quasi che contenersi possa essere un atto di scortesia o un'offesa deliberata alla convivialità.
Allora si "cede", salvo poi dopo le feste pentirsi e annegare nei sensi di colpa.
Tuttavia, se i convivi festivi vengono vissuti in questa cornice individuale, personalizzata, tutta incentrata su sé stessi c'è qualcosa che non va.
Pranzi e cene delle feste sono solo il pretesto del ritrovarsi intorno a un ideale focolare: presenziare significa accettare i valori e i significati che passano in questi rituali.
A ognuno, durante i convivi festaioli, è consentito assumere il giusto ruolo, in piena reciprocità: c'è chi nutre e chi è nutrito, c'è chi si prende cura e chi è coccolato, c'è chi guida la conversazione e chi vi partecipa accodandosi.
Ce n'è per tutti.
Come mai la tavola imbandita riesce a legarci più di ogni altra occasione sociale?
- la tavola celebra la magnanimità: la zuppiera traboccante, il gioco del mescere oltre quel "basta!" detto da qualcuno, proporre un "secondo giro" sono tutte occasioni per ritualizzare la generosità, un sentimento fondamentale del vivere insieme
- la tavola entusiasma: nel senso etimologico, entusiasmarsi per i greci significava avere un dio dentro, nello spazio protetto dei nostri cari ci possiamo mostrare come più ci piace sapendo di essere amati senza condizioni
- la tavola ospita l'affetto: quando qualcuno dice di aver preparato apposta per "te" una pietanza, o di aver portato quella bevanda ricordandosi quanto era gradita da uno dei presenti, o quando si inizia a ricordare di aver mangiato lo stesso piatto - ma non così buono! - in quell'occasione particolare e, ricordando, si rinsaldano legami e amicizie
- la tavola è un passaggio di consegne: dalle mamme alle figlie - o alle nuore! - e dalle nonne alle nipoti, quando l'autore del manicaretto "rivela" la ricetta e tra gli ascoltatori circola la promessa di provare a rifarlo a casa propria, le tradizioni possono essere date in custodia e portate avanti
- la tavola è senza confini: i piatti regionali o etnici sono il più economico biglietto da viaggio che ci si possa permettere, i nord e i sud del mondo, i colori e le religioni hanno molti più punti di incontro a tavola che in qualsiasi filosofia su cui dibattere, per scoprirsi legati dallo stesso bisogno di mangiare con piacere
- la tavola è una galleria d'arte: la civetteria della cuoca - o dello chef! - e gli apprezzamenti stupefatti dei commensali mimano l'esibizione di opere d'arte ai visitatori di una mostra e in ogni piatto si cela la possibilità di tirar fuori l'artista - anche ribelle e trasgressivo! - capace di disorientare il pubblico
- la tavola è l'altare della fiducia: accettando di essere nutriti da altre mani, abbiamo l'occasione di "affidarci" e accettare - anche solo in modo simbolico - la vulnerabilità che spesso nascondiamo
Oscar Wilde non a caso disse
a tavola perdonerei chiunque, anche i miei parenti
Studialamente.com vi augura buone feste e vi da appuntamento al 2010!
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