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mercoledì 15 dicembre 2010

Anatomia del fallimento per aspiranti disillusi

Conosci J. K. Rowling?

Magari se ti dico Harry Potter capisci subito di chi sto parlando.

Ebbene, l'autrice della saga di maggior successo dell'ultimo decennio si è vista rifiutare il manoscritto del primo romanzo da ben dodici differenti editori, e il tredicesimo si preoccupò di consigliarle di conservare il suo lavoro quotidiano, perché secondo lui il suo futuro di narratrice era piuttosto incerto.

Di' la verità: altro che dodici rifiuti, forse tu, e forse anche io, ci saremmo fermati al quarto, se non al terzo, e una parolina avrebbe iniziato a ronzarci nella testa: fallimento.

Come saprai la scrittura è l'altra mia vita di blogger (altrimenti, visita le mie "creature" cliccando qui a lato), perciò ti dico che anche un altro big della penna come Stephen King ha incamerato una serie impressionante di rifiuti per il suo Carrie.

Sono sicuro che anche in tutti gli altri campi dello scibile umano è pieno di personaggi grandiosi che però hanno mosso i primi passi collezionando deludenti giudizi e cocenti rifiuti.

Per tutti costoro vale il detto attribuito a Winston Churchill:

il successo è l'abilità di passare da un fallimento all'altro senza perdere il tuo entusiasmo.


Nel fallimento si cela anche la risposta a una domanda che spesso mi è stata fatta:

perché un blog sulla crescita personale?

Voglio darti una risposta insolita a questa domanda che però potrà esserci molto utile.

Vado?

Ok: scrivo un blog sulla crescita personale perché ho una grande esperienza del fallimento.

Ci ho tenuto i piedi a mollo tante di quelle volte da non potermele ricordare tutte.

Ho fallito negli affari, nelle relazioni personali, negli studi, nel lavoro e, per dirla tutta, in qualsiasi altra situazione ti possa venire a mente.

Potresti scommetterci, vincendo con certezza.

Non sono qui per raccontarti la sfilza dei miei fallimenti.

Non è questo il punto.

Il fatto è che tutti questi fallimenti, attraverso un processo sottile ma potente, mi hanno reso più forte.

Alcuni di loro mi hanno fatto anche più scaltro, se proprio vuoi saperlo.

Anatomia del fallimento
Quando fai qualcosa più e più volte, inizia coglierne le regolarità, fino a ricavarne un modello perfettamente ripetibile.

Così se tu fallisci un numero di volte piuttosto consistente, puoi scorgere la struttura interna del fallimento.

Di questo voglio parlarti nel post.

Secondo la mia esperienza, il fallimento si sviluppa attraverso sei stadi, tutti di pari importanza.

Esperimento
È il primo stadio ed è anche il più vitale e piacevole di tutti, a dire il vero.

Si tratta della parte in cui cominci qualcosa di nuovo, eccitante, interessante.

Ti assumi un rischio.

Può trattarsi di affari, ti puoi innamorare o intraprendere un viaggio inatteso.

È lo stadio nel quale ti "tuffi" senza davvero sapere cosa accadrà.

L'esperimento è la parte più intensa del fallimento, perché ti privi delle tue difese.

Agisci senza inibizioni, vivendo nel presente.

Quando però completi il percorso e fallisci, questo è lo stadio che biasimi di più.

È in questo primo passo che tenderai a identificare in un certo senso la causa del tuo fallimento.

Ma non è del tutto vero.

Per esempio, se ti innamori della persona sbagliata, questa è la fase romantica.

È la fase in cui non temi la tua vulnerabilità e ti godi ogni secondo con la nuova persona.

Non ti preoccupi di sapere magari se abbia già altri legami, né di testare la sua onestà.

Proprio non vuoi saperne di più, vuoi solo sentire, e sperimentare.

Ci siamo passati tutti.

E ci passeremo ancora, abbi fede.

Ma il fatto di esserci sentiti così bene non dovrebbe essere la causa dello stare così male quando realizziamo di aver fallito.

Dovremmo invece essere contenti di esserci fidati del nostro sentire.

Il risultato
L'esperimento porta a qualcosa: c'è un risultato.

Forse i tuoi affari non si sono concretizzati (magari perché hai commesso qualche errore).

O forse quella persona ti ha dato prova di disonestà (ma è molto probabile che tu abbia ignorato qualche segnale evidente che poteva dartene prova sin dall'inizio).

Forse il viaggio si è rivelato un fiasco perché i soldi sono finiti troppo presto e ora stai lavando i piatti in un ristorante per pagarti il viaggio di ritorno (o forse hai ignorato qualche regola di senso comune).

Questo è lo stadio in cui noi paghiamo.

Realizzi di aver fatto qualcosa di estremamente sbagliato e quindi ti tocca aver a che fare con le conseguenze.

E possono essere anche disastrose.

Proprio come in un esperimento sbagliato, che può scoppiare in faccia allo scienziato senza che egli se lo aspetti.

Sicuramente è lo stadio che odiamo di più.

Ci fa tornare alla realtà, una realtà che non ci piace e che ci fa sentire miseri.

Negazione
La prima reazione è negare del tutto il risultato.

Vuoi evitarlo.

Ti nascondi, arretri, ti isoli, rifiuti.

Uno stadio in cui fingi la cecità.

Scegli di non vedere la realtà.

Così negli affari, provi a ignorare i numeri.

Agisci come se avessi ancora tutti i soldi persi e tratti la loro mancanza come una favola temporanea.

La negazione serve ad alleviare la pena.

Il disastro è stato così grande che noi non riusciamo ad accettarlo.

Il cambiamento drastico ha reso la realtà irriconoscibile, così scappiamo a rifugiarci in un castello della mente.

È anche lo stadio dal quale alcuni non si riprendono più.

Deresponsabilizzazione
Finalmente, a questo punto, negare diventa stancante.

Accetti di aver fatto uno sbaglio.

Inizi a conteggiare le perdite, ma ancora non vuoi prenderti le tue responsabilità.

No, non ero io: il mercato non era pronto.

No, non ero io: il mio partner ha mentito.

È lo stadio delle scuse: è stato qualcuno.

Per farti capire quanto sia difficile accettare la verità a questo punto, ti dico che a questo stadio si ferma il 90% delle persone.

Proprio non ne vengono più fuori.

Accettare il fallimento gli dà un leggero sollievo, ma non hanno la forza di assumersi la responsabilità dei fatti.

La crescita personale non sarà mai possibile se tu biasimi gli altri per i tuoi fallimenti.

Mai e poi mai.

Ciò che è interessante a questo stadio è l'enorme quantitativo di creatività che le persone usano per trovare scuse.

Sono pronte a girare il mondo sottosopra e affermare che la pioggia va dalla terra al cielo, solo per evitare di ammettere di aver messo il piede in una pozza.

Accettazione
Proprio non ti resta altro da fare.

Sì, quell’affare lo hai iniziato tu, non c'era nessuno a costringerti.

Sì, tu hai incominciato quel rapporto, non c'era nessuno a forzarti.

L'errore è tuo.

Ha causato molte perdite.

E tu ci sei ancora dentro.

È lo stadio più difficile.

Nessuna meraviglia che il 90% delle persone si fermino a quello precedente.

Perché non significa solo dire .

Implica molto di più.

Implica responsabilità personale.

Accettare di aver fatto qualcosa a tuo danno, e a volte anche a danno degli altri.

Tuttavia accettare rende la situazione di nuovo gestibile, perché essa torna a combaciare con la realtà.

Quando eri nella negazione, vedevi le cose "fuori squadro".

Rifiutavi la realtà.

E anche nello stadio successivo, affibbiando la responsabilità ad altri, in realtà delegavi a essi anche il tuo potere personale: l'hai fatto tu, non io, risolvi tutto, così io mi sentirò meglio.

Ma adesso, nello stadio dell'accettazione, puoi davvero fare qualcosa per te.

Insegnamento
Implica agire.

Accettare ti farà sentire meglio da una parte, ma non modificherà di una virgola la situazione circostante.

Se hai sbagliato e lo accetti, ciò non influirà sulle conseguenze dello sbaglio.

Sarai comunque alle prese con le perdite.

Fin quando non agirai per uscirne.

È questo il bello.

Impari agendo.

Vedi cosa è sbagliato, quando e come, e inizi a sistemare.

Inizi a capire esattamente come hai fatto a rompere qualcosa nel tuo mondo.

Puoi riassemblare i pezzi, con la "colla" della tua esperienza.

È lo stadio in cui davvero cresci.

A prescindere dalle conseguenze, stai di nuovo esercitando il tuo potere.

Il primo e l'ultimo stadio del processo di fallimento hanno qualcosa di molto sottile in comune: l'entusiasmo.

Fallimento e crescita personale
Potresti chiederti:

perché conoscere così bene l'anatomia del fallimento non ci permette di evitarlo? perché facciamo questi errori?

Risposta breve: perché non possiamo evitarli.

Risposta lunga: perché abbiamo imparato a seguire questo schema.

Dobbiamo sperimentare, tornare a guardare la realtà, accettarla e riprendere di nuovo ad agire.

È proprio lo sviluppo personale che funziona così.

Come vedi, al cuore della crescita non c'è nessun segreto del successo, ma piuttosto il segreto del fallimento.

Noi cresciamo riconoscendo ogni stadio del processo di fallimento per poi andare avanti.

Conoscerlo serve ad evitarlo?

Solo in parte.

Prova ne sia il fatto che spesso ripetiamo gli stessi errori, anche se all'inizio non ci rendiamo conto che sono proprio gli stessi.

Non basta saperlo per evitarlo.

Si tratta di imparare la lezione, di prendere dimestichezza con l'ultimo stadio.

Allora comincerai a notare che il fallimento non ti attira più.

Il processo di fallimento va consumato, anche se la sensazione è quella di esserne consumati.

Se ripeti gli stessi errori hai ancora bisogno di fare qualche sorso da questo calice amaro.

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