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giovedì 7 ottobre 2010

Vivere per morire o morire per vivere?



"In Russia lo stress si combatte sotto terra. La "terapia" del sotterramento è l'ultima trovata di un gruppo di moscoviti che assicura, per circa 160 dollari, venti minuti di totale isolamento per ritrovare se stessi e guardarsi nell'animo. Scavano la buca, avvolgono il cliente in un'incerata e lo ricoprono con la terra lascandogli solo un tubo di gomma per respirare. All'uomo sotterrato basta fare un rumore - nel caso il panico prendesse il sopravvento - per farsi tirare immediatamente fuori".

Questa la notizia del 4 ottobre che ha fatto il giro del web.

Il problema non è tanto che si tratti di una evidente "bufala" - ogni giorno, sui portali, c'è l'elenco delle notizie bizzarre dal mondo, perché neanche più le notizie devi leggere, anzi, tu ci provi, ma arriva sempre qualcosa a distrarti - quanto il fatto che l'unico modo per parlare della nostra condizione di moribondi è la stramberia, l'esotismo, l'iperbole, insomma, una cornice adeguatamente "strana" per far sì che nessuno pensi "davvero" a quell'appuntamento inevitabile, ma tutti possano "credere" di averlo fatto.


La morte è la grande assente della nostra epoca, combattuta a colpi di chirurgie improbabili e dannose quando non ridicole (vedi l'attaccatura di capelli di quel tale...), scacciata a botte di filosofia del successo a ogni costo, sepolta sotto montagne di danaro spesso virtuale che tutti siamo continuamente invitati a moltiplicare con mezzi probabili come il lavoro e improbabili come le lotterie o i quiz televisivi.

Il problema sarebbe che tutte 'ste manovre per occultare la "nera signora" ci costano stress, e quindi vuoi vedere che ci tocca curarci dallo stress proprio anticipando la nostra unione eterna con lei?

Per bilanciare la ferale boutade, vi giustappongo un bel passo di Victor Frankl tratto da Uno psicologo nei lager, in cui racconta di una donna consapevole della sua imminente condanna a morte (che in campo di concentramento era una cosa sicura quasi quanto il sorgere del sole il giorno dopo) e del cambiamento della sua consapevolezza:

Questa giovane donna sapeva che sarebbe morta nei prossimi giorni. Quando le parlai, era serena, nonostante tutto. « Sono grata al mio destino, per avermi colpita così duramente », mi disse, e ricordo bene ogni sua parola: « Perché nella mia vita di prima, quella borghese, ero troppo viziata e non avevo nessuna vera ambizione spirituale ». Nei suoi ultimi giorni era come trasfigurata. « Quest’albero è il solo amico nei miei momenti di solitudine », disse, accennando attraverso la finestra della baracca. Fuori c’era un castagno, tutto in fiore, e chinandomi sul tavolaccio della malata, potevo scorgere ancora un ramoscello verde con due grappoli di fiori, guardando dalla finestrella dalla baracca-infermeria. « Con quest’albero parlo spesso », disse poi. Ne fui meravigliato e non sapevo come interpretare le sue parole. Sta forse delirando, ha delle allucinazioni? Le chiesi dunque, curioso, se l’albero può risponderle — Sì! — e che cosa le dice. Mi rispose: «M’ha detto: Io sono qui — io sono qui — io sono la vita, la vita eterna... ».

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